In principio fu Cortina D’Ampezzo.
La notizia, proprio alla fine del 2011, fu quasi uno schock – benefico – per un Paese che con il decreto Salva-Italia stava appena iniziando a metabolizzare le nuove tasse ed i sacrifici che lo Stato andava a chiedere ai cittadini per sopperire anni e anni di gestione politica inefficiente, clientelare se non addirittura corrotta.
Non sarebbe errato affermare che, in un panorama fatto di IMU e tagli alle pensioni – in cui la patrimoniale sui beni di lusso venne adeguatamente mimetizzata e annacquata – il blitz della Guardia di Finanza nel paradiso dorato di Cortina D’Ampezzo fu visto da molti come l’unico segnale di quell’equità di cui il Governo si era fatto portavoce al momento del suo insediamento.
[ad]Non mancarono naturalmente le polemiche, alcune sulla falsariga berlusconiana di una Guardia di Finanza che danneggia le attività imprenditoriali con i proprio controlli, altre volte più che altro a far risaltare il valore puramente simbolico di simili gesti, più che il loro reale contributo alla lotta all’evasione fiscale.
Il Governo non ha tuttavia fatto marcia indietro, e dopo i controlli di cortina questo primo scorcio del 2012 ha visto gli agenti della Finanza impegnati in numerose altre operazioni in luoghi-simbolo del Paese – in tutti i sensi – come Portofino, Sanremo, ma anche i locali della movida di Milano ed i mercatini di Napoli. In attesa naturalmente dell’estate e delle località balneari più rinomate.
Con l’eccezione del caso napoletano, i cui livelli di evasione fiscale imponevano comunque che si strappasse il sipario su un vero e proprio segreto di Pulcinella, la Guardia di Finanza ha scelto di colpire dei veri e propri templi del turismo di alta fascia, dimostrando nella sua azione tanto un’efficace coordinazione, quanto il perseguimento di una vera e propria finalità mirata all’eradicazione non dell’evasione tout court, quanto di un certo tipo di evasione.
È infatti possibile individuare tre tipologie di evasione, anche se solo due costituiscono effettivamente reato e sono quindi oggetto dell’azione della Guardia di Finanza e degli altri enti preposti dello Stato.
La prima tipologia di evasione può essere definita “di sussistenza”, ed è generalmente figlia della crisi. L’identikit di un simile evasore è generalmente quello di un imprenditore medio-piccolo, strozzato dalla crisi, probabilmente in debito verso i propri fornitori e in credito verso clienti – tra cui spesso si trova anche la pubblica amministrazione – che non lo pagano. L’evasione fiscale in questi casi risulta una scelta quasi di sopravvivenza, necessaria per non dichiarare il fallimento dell’attività andando a devastare ulteriormente un tessuto sociale già sconvolto. Diventa molto difficile esprimere un giudizio morale su questa tipologia di evasione: si tratta chiaramente di un evento illegale, dettato tuttavia da situazioni estreme: pesa a questo proposito la condotta della vita contributiva in anni meno concitati degli attuali, la presenza o meno dello Stato tra i debitori del cittadino, ed una serie di altri fattori che possono portare anche i più accaniti detrattori degli evasori fiscali a ripensare alle proprie posizioni.
Vi è poi una seconda tipologia di evasione, particolarmente odiosa in quanto coinvolge gli ambienti che genericamente possono essere ricondotti al mondo del lusso. Si tratta di un’evasione certamente non di sopravvivenza, basta sullo spregio delle regole piuttosto che sulla loro semplice infrazione; si tratta dell’evasione non già di chi vuole restare a galla, ma di chi vive secondo uno schema differente dalle persone comuni, in una vera e propria torre d’avorio al cui interno le normali regole e leggi non valgono.
Infine, vi sono non già i fenomeni di evasione, ma le scappatoie legali da parte di chi ha il potere di dettare le regole. Il mondo della politica, ma naturalmente non solo: banche, assicurazioni, in generale i grandi gruppi finanziari. Lo scandalo sui tassi agevolati per i mutui degli onorevoli, esploso appena pochi giorni fa, è solo la punta di un iceberg fatto di privilegi, scappatoie e clausole che costruiscono scudi legali che costituiscono forme di protezione assolutamente impensabili per le persone comuni. Commissioni, sconti dalle tasse, canali privilegiati, sono molte e ramificate le forme in cui i veri enti di potere si costruiscono per legge un castello di vantaggi e privilegi che li separa nettamente dal resto del mondo. È ovviamente scontato il fatto che la maggior parte dei capitali su cui lo Stato potrebbe mettere le mani sena riuscirvi passano attraverso questi canali.
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[ad]Che il Governo Monti affrontasse il reale problema dei privilegi della finanza era e resta utopistico. Ha ragione chi in questo vede in Monti un diretto emissario delle banche, non tanto per ragioni complottistiche, quanto perché l’attuale Presidente del Consiglio è espressione e portavoce di un sistema – in cui crede e su cui d’altra parte si regge la stabilità economica nel mondo – in cui sono le banche e in generale la finanza a controllare l’azione politica.
D’altra parte è impossibile non notare un netto stacco tra Monti e il suo predecessore Berlusconi. Se Monti può considerarsi interessato a difendere gli interessi della terza categoria di evasioni, Berlusconi appare nell’immaginario collettivo come il perfetto esponente del secondo mondo. Con una politica fatta di condoni, ostacoli legislativi all’azione giudiziaria e depenalizzazioni il Cavaliere aveva spudoratamente protetto il mondo di un’evasione fiscale intesa come attacco allo Stato e alla sua sussistenza, come parassitismo di coloro che – dipendenti pubblici e pensionati – le tasse sono costretti a pagarle e come in generale parte di un disegno complessivo di depotenziamento della figura dello Stato.
Vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto è naturalmente questione di sensibilità o di partigianeria politica, ma non si deve rinunciare al confronto tra le politiche di questo esecutivo e quelle dei governi precedenti. In questo senso, la scelta di Monti di intervenire sui santuari del lusso e del bel vivere italiano non è – malgrado le apparenze – un populismo di facciata, ma un’accorta strategia che pone un serio accento su quali sono i casi più eclatanti e oggettivamente odiosi di evasione fiscale, andando a fare un’adeguata opera di controllo e prevenzione. Se anche un blitz non potrà fare miracoli, è innegabile che avere alcune giornate in cui gli incassi dei negozi sono stati completamente registrati per via della costante vigilanza dei finanzieri servirà come pietra di paragone per eventuali rendiconti futuri, rendendo più facile scoprire dove si annidano i fenomeni di evasione.
Vedere il bicchiere mezzo pieno, in una simile situazione, non significa quindi peccare di eccessivo ottimismo.