La maratona è indubbiamente lo sport principe delle olimpiadi, uno dei più attesi e quello più carico di significato storico e politico. La lunga marcia prende il nome dalla città di Maratona, dalla quale nel 460 a.C. Filippide partì per portare la notizia della vittoria sui persiani all’Acropoli di Atene. Un episodio cruciale della storia moderna: l’occidente e la democrazia, nella sua forma più archetipica, vincevano sull’assolutismo dei sovrani d’Oriente.
Circa 2500 anni dopo, quei 40 km di sudore e fatica assumono nuovamente un forte significato politico e diventano l’occasione per portare, dinanzi agli occhi del mondo, una situazione difficile e drammatica, che dilania il territorio etiope. Quando l’atleta etiope Feyisa Lilesa ha tagliato il traguardo alle Olimpiadi di Rio, arrivando secondo, ha compiuto un gesto che molti degli spettatori non hanno compreso: ha incrociato le braccia ad X simulando il gesto dell’arresto. Un gesto estremamente pericoloso per il maratoneta, che è passato in una manciata di minuti da eroe sportivo a eroe per la difesa dei diritti del suo popolo, ovvero gli Oromo.
Lilesa, chi sono gli Oromo
Gli Oromo sono il più grande gruppo etnico del paese, perlopiù dislocato nell’Oromia, la regione che circonda la capitale Addis Abeba. Lo scorso Novembre sono scoppiate una serie di proteste in seguito al varo di un piano, da parte del governo, che prevedeva l’esproprio dei terreni degli Oromo. Alle manifestazioni contro il piano si sono aggiunte richieste di rispetto dei diritti umani e dei principi democratici, ma le proteste sono state soffocante nel sangue dalle forze governative. Secondo le testimonianze di Human Right Watch i manifestanti non uccisi ma imprigionati sono stati torturati e le donne violentate.
Il gesto delle mani incrociate è diventato il gesto della protesta, il simbolo di una lotta per i diritti umani contro una situazione drammatica e poco conosciuta, un gesto che Lilesa ha replicato dinanzi alle telecamere di tutto il pianeta: un atto rischioso che cerca di sensizibilizzare l’opinione pubblica globale e la comunità internazionale. La famiglia dell’atleta è attualmente in prigione e lo stesso campione olimpico non può tornare nel suo paese e pochi giorni dopo la vittoria ha fatto richiesta d’asilo politico.
Giorgio Mirando