Succedono cose strane: Renzi che attacca D’Alema alla festa del Pd, a Catania, alla ricerca di un colpo di scena. La minoranza che incalza il suo segretario, che risponde di essere disponibile a cambiare l’Italicum. Cose mai viste prima.
A Milano ai primi di settembre c’è stata l’inaugurazione di un importante luogo simbolo – la “Casa del Sì” – per mano della ministra Boschi, che ha aperto ufficiosamente la campagna elettorale referendaria per il Sì. Anche lì le cronache riportano di qualche piccola contestazione che non guasta, anzi, l’hanno resa più vera e umana. “È una Casa dove tutti saranno i benvenuti, chi avrà voglia di confrontarsi e informarsi sulla riforma, ma anche chi vorrà dare una mano – ha spiegato la Boschi – Le prossime settimane saranno importanti e l’impegno dovrà aumentare, per spiegare le ragioni del sì.”
Iniziativa molto utile, soprattutto per quei genitori alle prese con adolescenti riottosi, quelli con la sindrome del no a tutto. Potrebbero tentare un ultimo disperato tentativo portandoli in visita al sacro luogo dedicato al Sì. Tutt’altra storia per chi ha bisogno della cura opposta, per cui si deve sapere che “Crescere è anche saper dire di No”, slogan di uno dei numerosi Comitato del No, che non è rivolto solo a signorine troppo compiacenti.
Peccato che non si sappia ancora la data del referendum sulla proposta di legge costituzionale Boschi, approvata a inizio aprile. Il premier Renzi dopo la sconfitta elettorale di giugno continua a spostare la data e se ne guarda bene dal fissarla: prima doveva essere a inizio ottobre poi, visto che la Corte costituzionale ha fissato la discussione sull’Italicum al 4 ottobre, temendo un giudizio negativo, prudentemente ha spostato sempre più in là il momento della conta. Scivolata a fine ottobre, poi a metà novembre ed ora si sente parlare di votare a metà dicembre, invadendo per la prima volta il territorio comunicativo di Babbo Natale.
E’ presumibile che la vittoria dei “gufi” sia possibile anzi, è prefigurata dai sondaggisti, per cui qualcosa dovranno inventarsi per non contarli. Intanto si osserva l’improvvisa apparente semplificazione della politica: ha preso una forma duale, quella del Si o No. Un mondo politico semplificato, che si aspettava da molto tempo, dall’epoca dei guelfi e dei ghibellini.
Le buone notizie finiscono qui, perché se si vuole curiosare dentro questi Si e No, capirne le ragioni e le convenienze politiche, le faccenda si complica. Dichiaro subito, per onestà intellettuale, qual è la mia posizione: sono per il No. E’ il no ragionato di chi ha seguito dall’esterno tutta la vicenda del patto Renzi-Berlusconi (era il 18 gennaio 2014) e il seguente confuso processo legislativo in Parlamento che ha portato all’Italicum. Seguito dalla Revisione costituzionale, che ha dovuto risolvere ciò che non era stato precedentemente risolto. La prima versione del patto del Nazareno non era così male, è stata la gestione in Aula operata dai colonnelli dei rispettivi contraenti (PD-FI) che ne ha degradato la realizzazione, tanto che in un articolo precedente l’avevo accostato al patto Ribbentropp-Molotov
Ora che gli schieramenti del Si e del No sono in campo, è utile ragionare sul senso delle cose, su cosa potrebbe succedere in futuro. Un punto deve essere chiaro, queste di cui si sta parlando non sono “riforme” ma “revisioni legislative”, per giunta di dubbia utilità per chi le ha sostenute a spada tratta e ancora oggi tenta di fare lo spavaldo (non Matteo Renzi, che ha capito bene l’errore, ma i suoi infidi consiglieri).
Mi spiego meglio: l’Italicum, la legge 52 del 2015, è il pezzo forte di tutta l’operazione di revisione istituzionale gestita dal governo attuale, ma avviata con il governo Letta, perché ribalta la forma di governo prevista in Costituzione. Introduce di fatto un premierato e un controllo ferreo sulla composizione della Camera e sugli altri organi costituzionali da parte dei leader dei principali partiti.
Si possono avere tante idee di democrazia rappresentativa, però non c’è nulla di democratico in un esproprio, oltre tutto con legge ordinaria, del potere di elezione dei deputati a favore di un capo partito, che oltretutto dispone a sua discrezione di un “regalone” in seggi. E’ quello che fa l’Italicum. E’ una cessione di sovranità popolare in cambio di nulla, di qualche vaga promessa che impegna solo chi ha la sventura di ascoltarla.
Senza entrare in fastidiosi dettagli tecnici, un esempio può chiarire meglio le idee su queste presunte riforme istituzionali. Si possono paragonare a dei “kit” per modificare l’automobile, sono dispositivi che permettono di moltiplicare le prestazioni e aggirare i controlli sulla velocità e le emissioni.
La legge elettorale e il testo di revisione della costituzione assomigliano a dei dettagliati fogli d’istruzione per specialisti su come elaborare il motore e la centralina elettronica dell’auto. Non sono leggi che stanno in piedi da sole. La controprova è veramente semplice: provate a scaricare il testo dell’Italicum e leggetelo. Si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un elenco di strani pezzi: un carburatore, gomme nuove, un algoritmo, ecc… E’ uno scatolone con dentro un kit per maggiorare il motore, non è una macchina finita, pardon, una riforma a sé stante.
Ad un posto di blocco della polizia, l’occhio attento di un esperto vede che la macchina ha qualcosa di alterato. Tutta l’allegra compagnia pensa di viaggiare a mille sull’auto truccata, ma c’è veramente il rischio del ritiro della patente al conducente.
Il prossimo mese, il 4 ottobre, toccherà ai giudici della Corte Costituzionale ad eseguire questo doveroso controllo, chiamati all’opera soprattutto dall’avvocato Felice Besostri. “Chiederemo che vengano rimessi in discussione non solo i punti segnalati dai Tribunali di Torino e Messina, ma della costituzionalità dell’intera legge. Se la Corte accetterà, per assicurare il contraddittorio, ci vorrà un rinvio probabilmente a dopo il referendum costituzionale- ha dichiarato Besostri – Se la legge fosse dichiarata anche solo parzialmente incostituzionale il risultato potrebbe essere che questo parlamento, eletto nel modo che sappiamo, quanto meno non sa scrivere le leggi”.
La combinazione “sentenza della Corte + risultato referendum”, da un punto di vista politico, potrebbe voler dire anche la conclusione di un ciclo, con l’inizio di una fase di stallo di alcuni mesi molto incerta. Se il segretario PD dovesse perdere il referendum rimarrebbe in piedi solo l’Italicum, fin tanto che la Corte non deciderà in merito. E’ possibile che la Corte accolga alcune delle tante osservazioni sollevate da Besostri, per cui sarà tutto da rifare, rimarranno solo cumuli di macerie da rimuovere.
Al di là delle rispettive idee, c’è da chiedersi a che cosa serve il “kit” dell’Italicum, con il pericoloso meccanismo del ballottaggio, inventato da Roberto D’Alimonte per Renzi, una volta che è stato dimostrato che al PD, può essere molto deleterio nel nuovo scenario tripolare che si è stabilmente configurato. Rischia di essere l’arma del harakiri finale per il “principe toscano”.
Renzi nel comizio di domenica scorsa si è detto disponibile a rivedere la legge elettorale. Mossa molto accorta, ma non basta dire e poi non fare niente, se non rimandare le decisioni nella speranza che il M5S caschi nella palude romana.
Esiste una via alternativa, dove non ci sarebbero ne vinti ne vincitori.
La base è quella di uno scambio politico alla pari, che farebbe bene all’Italia, impegnandosi subito in una riforma elettorale seria, senza i trucchi e gli inganni dell’Italicum (c’è sempre la proposta Galli-Comero, scritta con Giorgio Galli, se non si sa che pesci pigliare). In cambio Renzi potrebbe chiedere a tutte le forze politiche di appoggiare uno “spacchettamento” del quesito referendario, come proposto a suo tempo dai radicali, per tentare di salvare il salvabile dopo due anni di discussioni sulla nuova costituzione.
Ci sono certamente alcuni grossi ostacoli giuridici da superare sul piano politico in Parlamento (per lo spacchettamento si è perso tempo), ma volendo in politica tutto è possibile, se è per il bene dell’Italia. L’obiettivo finale è quello di avere finalmente una buona legge elettorale, rispettosa della sovranità popolare (senza dimenticare l’importante raccomandazione di Gianfranco Miglio, riportata qui) accompagnata da alcuni ritocchi alla Costituzione secondo le indicazioni referendarie che emergeranno. Solo così si potrebbe andare al voto, nel 2017 o 2018, in modo più sereno e democratico.
Daniele Vittorio Comero