Ecuador e Rafael Correa, baluardo del socialismo latinoamericano
Nell’ultimo anno, il socialismo latinoamericano del XXI secolo ha inanellato una serie di pesanti sconfitte. La presa del congresso venezuelano da parte dell’opposizione e l’ ascesa del neoliberista e filostatunitense Mauricio Macri in Argentina (dicembre 2015); la sconfitta di Evo Morales in Bolivia sul referendum per la riforma costituzionale (febbraio 2016). E ancora: il processo di impeachment ai danni di Dilma Rousseff in Brasile (leader del blocco antiegemonico) e, finalmente, le grandi proteste di Caracas che hanno messo in discussione – per l’ennesima volta – la leadership di Nicolas Maduro.
L’ultimo anno – in sintesi – si è caratterizzato per il ritorno in auge dei partiti conservatori, ai danni del movimento socialista latinoamericano (propiziato da Hugo Chavez in Venezuela). Non è, però, il caso dell’Ecuador, dove il presidente Rafael Correa (leader del partito progressista Alianza País e con dottorato in economia) è riuscito a mantenere una base di appoggio popolare notevole. Nonostante una opposizione arcigna, la presidenza di Correa non è mai stata messa veramente in discussione.
La presidenza Correa in sintesi: riforme economiche e istituzionali per un nuovo Ecuador
In quasi una decade di governo (dal 2007 ad oggi), Correa ha risollevato le sorti economiche dell’ Ecuador, mettendo in atto una notevole serie di riforme strutturali (a partire dalla elaborazione di una Costituzione “ex novo”) e riforme economiche, che hanno permesso di ridurre sensibilmente – tra le altre cose – il tasso di povertà estrema. La cacciata delle compagnie petrolifere straniere – in favore di una nazionalizzazione dell’ “oro nero” d’ Ecuador – ha generato un rapido quanto marcato incremento delle entrate nelle casse statali.
La forte crescita economica del Paese permise di investire in educazione (creando numerose scuole e collegi, garantendo la gratuità dell’istruzione obbligatoria), in infrastrutture (tanto in strade e autostrade che aeroporti) e in una campagna di promozione del turismo – chiamata “All you need is Ecuador” – estremamente dispendiosa e che non raggiunse gli effetti sperati.
Per quanto si siano avuti riscontri oggettivi di una crescita del paese, il presidente Correa è stato fortemente criticato per la tendenza a monopolizzare la scena politica. Il protagonismo del presidente ha ridotto fortemente il dibattito interno ad Alianza País, schiacchiando l’alterità (su cui si fondava il partito) sotto il peso della sua personalità. Inoltre, la decisione di sfruttare i giacimenti petroliferi del “Parque Nacional Yasuní” (cominciati proprio la scorsa settimana) ha sollevato un turbinio di polemiche da parte della società civile e varie ONG.
Tra luci e ombre, Correa si appresta a chiudere la sua avventura presidenziale lasciando un paese in forte crisi economica. Al timone del Paese dal 2007, lascerà la carica nella prima metà del prossimo anno. Le elezioni presidenziali si celebreranno in Febbraio 2017 e Correa ha già assicurato che non si presenterà come candidato, conseguentemente a un patto sancito con l’opposizione per aumentare il numero massimo di mandati presidenziali consecutivi.
Chiunque vinca a febbraio (l’attuale vicepresidente Moreno, o il candidato dell’opposizione Lasso) dovrà fare i conti con una congiuntura economica sfavorevole e l’ombra scomoda di un presidente estremamente carismatico. Lascia nel momento più propizio: prima che gli effetti della crisi economica si manifestino pienamente nell’ambito sociale.
Le capacità di Rafael Correa si manifestano nella gestione dei tempi dell’azione politica: nulla è lasciato al caso e ogni azione, discorso o pratica politica, derivano da un ragionamento sempre studiato, razionale. A differenza di altri leader socialisti del subcontinente (uno su tutti, Maduro, molto più impulsivo e “genuino”), Correa si caratterizza per un forte machiavellismo. L’accordo raggiunto con la destra sull’incremento del numero di mandati consecutivi possibili è stata – possibilmente – l’ultima gran mossa machiavellica di una decade di presidenza.
Correa: da ministro dell’economia a presidente ultra-personalista
Già in passato, Correa si è dimostrato capace di abili manovre politiche, di ottenere consenso – facendo gli interessi del proprio partito – e rafforzare la propria posizione. Dal 2005 (anno in cui fu nominato ministro dell’economia) a oggi, è riuscito a neutralizzare le voci di dissenso e ad incrementare il proprio potere personale, al punto di ricevere critiche di autoritarismo sia dall’opposizione che dai suoi sostenitori. Se il ministero gli permise di farsi conoscere al popolo ecuadoreño, fu la promozione della fondazione di Alianza País (un amalgama di movimenti e organizzazioni politiche di sinistra) il “passepartout” per la sua rincorsa alla presidenza dell’ Ecuador.
Dopo la vittoria delle elezioni del 2007, il direttivo (organo di massima pluralità del partito) è stato egemonizzato dai correisti – ovvero i sostenitori dell’economista di Guayaquil – riducendo quella varietà di voci e posizioni che fu determinante per garantire la vittoria elettorale alla sinistra progressista. Attualmente,e La vicinanza del presidente Correa alla popolazione e la sua estrema mediatizzazione gli hanno permesso di personalizzare i risultati ottenuti dal gabinetto ministeriale, attraverso la fondamentale cooperazione del partito.
La personalizzazione del partito nella figura di Correa lo ha reso dipendente – in termini elettorali – dal destino del suo leader. L’assenza di altre figure carismatiche e di spicco all’interno di Alianza País gioverebbero a una destra già rinvigorita dal contesto internazionale (nello specifico del subcontinente). Come detto anteriormente, però, l’attuale congiuntura economica è tutt’altro che favorevole, e una vittoria dell’opposizione – in un tale periodo di crisi – potrebbe far crescere rapidamente il desiderio di rivedere Rafael Correa come presidente dell’ Ecuador per risollevare il Paese da una situazione estremamente complicata. Correa sembra pronto a lasciare il testimone per quattro anni, per poi riprenderselo con ancor più protagonismo e una leadership ancor più indiscussa.
Alessandro Faggiano