Carlo Azeglio Ciampi, deceduto ieri all’età di 95 anni in una clinica romana, è stato un padre della Patria. “Un livornese, un italiano, un europeo” come amava ripetere lui, contrapponendosi a quell’euroscetticismo esploso oggi con il referendum sulla Brexit. La sua carriera politico-istituzionale parla da sola: governatore della Banca d’Italia dal 1979 al 1993, Presidente del Consiglio, Ministro del Tesoro e infine Presidente della Repubblica. E’ stato, insieme a Francesco Cossiga, l’unico Capo dello Stato eletto al primo scrutinio a dimostrazione del prestigio intellettuale (e non solo) di cui poteva godere all’interno dell’emiciclo parlamentare. I commenti dei quotidiani stamani mettono in rilievo soprattutto un aspetto della Presidenza Ciampi: la riscoperta della Patria, intesa nel suo più alto significato, e di quell’orgoglio nazionale rimesso in discussione a partire dagli anni ’90. A partire dalla Presidenza Cossiga, infatti, il Paese si ritrovò nella morsa di una duplice tensione: da una parte, la “riconciliazione” proposta da Gianfranco Fini con la “svolta di Fiuggi” che sdoganava i post-missini al governo; dall’altra, quell’idea di secessione – respinta a più riprese da Ciampi – perorata dalla Lega Nord in forte ascesa. Ma vediamo i principali commenti sui quotidiani di oggi.
Il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, lo ricorda come “il Padre degli italiani non per ragioni politiche ma caratteriali e sentimentali” paragonabile in questo solo a Sandro Pertini anche se “Pertini era un padre di combattimento, Ciampi un padre di pace, profondamente laico nei suoi ruoli pubblici ma profondamente cattolico nella sfera privata”. Il ricordo più importante che Scalfari ha di Ciampi è quello dell’entrata italiana nella moneta unica. “Ciampi mise tutta la sua logica economica e politica sostenendo che un Paese fondatore della Comunità europea doveva essere tra i fondatori della moneta comune” scrive ancora Scalfari su Repubblica.
L’incontro con Helmut Kohl (per comunicargli l’adesione dell’Italia, ndr) non fu soltanto una comunicazione di adesione dell’Italia a quello che sarebbe stato chiamato l’euro, ma anche un confronto sulla politica monetaria ed economica della quale l’euro sarebbe stato lo strumento per promuovere la crescita, l’occupazione ed anche il rafforzamento dell’Europa verso una struttura di graduale unità politica oltreché economica. Questo fu uno dei tanti risultati di Ciampi che va ascritto a principale merito dell’opera sua
Il settennato di Ciampi al Quirinale
Se il suo settennato alla Presidenza nacque sotto i migliori auspici, con l’elezione al primo scrutinio frutto di un accordo parlamentare molto ampio (707 voti, 70%), lo stesso non si può dire per gli anni successivi che lo portarono a scontrarsi più volte con i governi Berlusconi II e III. Così, dopo la parentesi del Cossiga “picconatore” e del “moralizzatore” Scalfaro, Ciampi tornò a rinviare leggi di particolare importanza alle camere perché ritenute incostituzionali come la legge Gasparri (2003) o la legge delega sulla riforma dell’ordinamento giudiziario (legge Castelli, 2004). Inoltre, il prestigio istituzionale di cui poteva godere Ciampi gli permise di utilizzare in maniera anche molto massiccia quel potere di “moral suasion” non riconosciuto formalmente dalla nostra carta costituzionale e che ha fatto storcere la bocca a non pochi giuristi. Ciampi, così, è intervenuto nell’iter legislativo su provvedimenti a cui il governo Berlusconi aveva legato la legislatura come la legge sulle rogatorie internazionali (2001) o il lodo Maccanico (2002), promulgandole entrambe. Alcuni osservatori, come il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio, vedono in questo atteggiamento del primo Ciampi al Quirinale come un “atto di debolezza” nei confronti di Berlusconi che intanto muoveva “guerra alla Costituzione e alla legalità”. Travaglio critica Ciampi anche per aver avallato la “depenalizzazione strisciante del falso in bilancio, lo scudo fiscale e la burla Frattini sul conflitto d’interessi” ma anche la legge Bossi-Fini, il lodo Schifani e la ex Cirielli. Però poi, il direttore del Fatto Quotidiano riabilita Ciampi paragonandolo al suo successore, Giorgio Napolitano reo di aver “firmato tutte le leggi vergogna di Berlusconi”. Anche Massimo Giannini su Repubblica giudica la Presidenza Ciampi in chiaro-scuro: “Ciampi nell’era del ‘berlusconismo da combattimento’ compie due grandi capolavori e un grave errore: i due grandi capolavori sono il rinvio alle Camere della Legge Gasparri sulle tv e della Legge Castelli sulla giustizia mentre il grave errore è la sua firma sullo scandaloso “Porcellum” di Calderoli del 2005 di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze”.
Ci ha lasciato Carlo Azeglio #Ciampi un grande uomo, fece amare agli italiani il tricolore e ci salvò dalla crisi
— Mario Calabresi (@mariocalabresi) September 16, 2016
Sul settennato al Colle di Ciampi si sofferma anche il quirinalista di lunga data del Corriere della Sera, Marzio Breda, che parla di “neutralità attiva” di Ciampi, interpretata dagli italiani come “antidoto” allo scontro a tratti “brutale” tra centrosinistra e centrodestra. Parole di stima e apprezzamento le dedica anche l’ex direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, che sul quotidiano di Via Solferino celebra “l’etica republicana”, la “meticolosità calvinista” e “l’acribia maniacale” di un “italiano per bene”.
Infine, l’aspetto meno istituzionale che si trova oggi sulle pagine dei principali quotidiani è il suo rapporto con la moglie Franca Pilla, emiliana di nascita conosciuta alla Scuola Normale di Pisa (laurea in Lettere). “Si sono tenuti per mano per tutta la vita” scrive Maria Latella sul Messaggero. E, soprattutto, lo hanno fatto “fino all’ultimo”.
@salvini_giacomo