Referendum Costituzionale: mozione di sfiducia sotto mentite spoglie
Più che un voto referendario sembra un aut aut politico
È la campagna elettorale più lunga della Repubblica Italiana, quella del referendum costituzionale che ha preso il via lo scorso maggio e si concluderà il 4 dicembre prossimo, quando milioni di italiani saranno chiamati alle urne per decidere il destino di un referendum peculiare. È un caso interessante di permanent campaigning in cui le strategie che vengono messe in campo dagli opposti schieramenti dimostrano scelte comunicative ben consolidate.
La campagna comunicativa del Sì e il No al renzismo
Da una parte abbiamo una maggioranza di governo compatta e allineata nei contenuti, con in testa il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che predilige veicolare un linguaggio semplice e immediato per esprimere contenuti difficili, più adeguato alle piattaforme social di cui è leader indiscusso. Parole e frasi brevi per convincere l’elettorato a schierarsi a favore del Sì, il tutto arricchito da un atteggiamento propagandistico e perentorio. Dall’altra ritroviamo forze politiche disomogenee che si schierano a favore del “No” con motivazioni diverse e spesso contrastanti, che rispondono alla proposta di cambiamento del governo con un “No” trasversale, diretto in definitiva al renzismo piuttosto che al quesito referendario. Quella del No appare come una non campagna, incentrata, cioè, su elementi poco attinenti ai quesiti del referendum.
La (s)personalizzazione del Referendum
È lui, Matteo Renzi, ad aver innescato un processo comunicativo fatto di negazione e di antitesi, decidendo nella prima fase di personalizzare lo scontro. Una sfida personale che per mesi ha collegato il verdetto del referendum al suo stesso incarico: «Se perdo, lascio». Ha iniziato personalizzando il referendum per poi tornare sui suoi passi e oggi si ritrova nuovamente a incentrare la campagna su di sé, costretto da avversari politici disomogenei che conservano come elemento unificante il No al premier. La comunicazione di Renzi si regge sull’invito a scontrarsi e contrapporsi a modelli culturali ormai superati. Il suo appello al Sì è innanzitutto un invito al cambiamento, per un’Italia che, secondo il premier, si gioca con questo referendum una partita cruciale.
Ne è stato un esempio involontario il dibattito in tv tra il presidente del Consiglio e il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky. Due generazioni a confronto: da una parte un personaggio politico giovane ed esuberante, capace di bucare lo schermo nel comunicare in maniera semplice e immediata. Dall’altra, contrapposta, la presenza e il linguaggio di un cattedratico padrone della materia costituzionale e capace di sostenere le proprie tesi. Due profili e due modi di porsi, opposti: il primo con una capacità comunicativa più elevata e una buone dose di aggressività, il secondo con un profilo più tecnico e un atteggiamento più sereno nell’esporre le proprie tesi.
Una campagna prettamente agonistica
Quella di Matteo Renzi è una campagna prettamente agonistica, come è nelle sue corde. Identificare se stesso con il sì ha contribuito a compattare il fronte del no provocando a cascata anche l’aumento degli indecisi. Ed è per questi motivi che, avvertito il pericolo, sta cercando di combattere la battaglia sul grande schermo. Ultima per ordine di tempo l’intervista rilasciata domenica scorsa a Massimo Giletti durante la trasmissione “L’Arena”. Ancora una volta Renzi ha parlato agli italiani della proposta referendaria come ultimatum per dare avvio a un Paese che procede al rallenty e che non si vuole cambiare, non per mancanza di un’alternativa, ma per antipatia nei suoi confronti. “Meno costi, più concretezza, più semplicità” sono secondo il premier i benefici, tra gli altri, nel passaggio da un bicameralismo perfetto a uno differenziato, che ci tiene a precisare: “Non ce lo siamo inventati noi, esiste in tutti i Paesi”. E alla domanda di Giletti sul problema di personalizzare lo scontro risponde: “Ho sbagliato. Ho personalizzato perché pensavo fosse un principio di buon senso”. E sul futuro dice: “Se vince il No, non cambierà nulla”.
Oltre il referendum
Pare che adesso si giochi tutto, con la consapevolezza che, al di là del risultato, il bel Paese soffrirà ancora della totale assenza di visione e prospettiva futura. Ma al Sì che per Renzi è sinonimo di cambiamento, si contrappone il No di tutti gli schieramenti, compresi quei gruppi che s’identificano con i molti Vip del PD già rottamati e messi all’angolo dal premier, incapaci di mettere in moto una vera strategia politica, ma che stanno utilizzando l’agone referendario come una vera caccia verso l’uomo che li ha cacciati. L’interesse per il quesito referendario è, in definitiva, meno importante della valenza politica della contesa. Da questa prospettiva, forse, per una volta, è meno cogente il rischio che il 4 dicembre la maggioranza schiacciante sarà ancora quella del non voto.
Manuela Mondello su Comunicatore Pubblico (Fb: Comunicatore Pubblico)