La mostra di Andy Warhol porta a Roma la pop art
“Making money is art and working is art, and good business is the best art”. In quest’affermazione, tanto concisa quanto sarcastica, è racchiuso il nucleo del pensiero di Andy Warhol, emblema della pop art, i cui lavori sono in mostra a Roma presso Palazzo Cipolla fino al 28 settembre.
L’esposizione, approdata nella Capitale dopo lo straordinario successo riscosso a Milano con 225.000 visitatori, è la prima grande monografica dedicata all’artista, ed è costituita da 155 opere provenienti da The Brant Foundation, il cui fondatore Peter Brant è anche curatore della mostra, insieme al critico d’arte italiano Francesco Bonami.
La selezione di opere esposte è particolarmente significativa in quanto Brant è stato innanzitutto amico e compagno di viaggio di Andy Warhol, con cui girò il mondo, iniziando a raccoglierne i quadri prima che il suo nome diventasse celebre. «Papà l’ha incontrato attraverso Leo Castelli, e l’ha reputato subito il migliore di tutti. Forse per la capacità di sperimentazione, forse per l’adozione di icone già note al grande pubblico, che lui sapeva far diventare più belle», ha dichiarato Allison, la figlia di Brant. «Warhol mi è stato familiare fin da piccina. Non ho fatto a tempo a vederlo, ma è come se fosse uno di casa».
La mostra ricostruisce per intero la produzione dell’artista, partendo dal suo debutto come pubblicitario, passando per opere celeberrime come la Campbell’s Soup («per 20 anni l’ho mangiata ogni giorno»), i Red Elvis o gli Skulls, per arrivare a The Last Supper, l’opera con cui volle omaggiare Leonardo Da Vinci, che fu presentata a Milano l’anno prima della morte, avvenuta nel 1987. C’è anche una delle Shot Marilyn, che devono il loro nome al fatto di aver ricevuto un colpo di pistola da un’amica di Warhol, e una serie di sue polaroid di volti noti (tra i tanti, Liza Minnelli, Joan Collins, Arnold Schwarzenegger, Jean-Michel Basquiat). Un ritratto eseguito da lui costava 25.000 dollari e richiedeva 40 scatti preparatori, tra i quali Warhol ne sceglieva uno che poi trattava e stampava.
Preannunciando il ruolo decisivo esercitato dai media sulla società, l’artista innalzò al rango di arte oggetti e personaggi che colonizzavano l’immaginario a stelle e strisce, dimostrando di essere a tutti gli effetti americano, pur essendo figlio di emigrati slovacchi.
L’arte di Andy Warhol è riuscita nell’ambizioso proposito di emozionare, coinvolgere e generare immedesimazione coniugando l’esaltazione dell’ordinario elevato al rango di spettacolare con l’enfatizzazione di ribalta e paittes che si rovescia poi nel disvelamento del retroscena. Come a dire, l’arte che fa il verso a sé stessa, qualcosa di estremamente raro in un’epoca come quella odierna in cui c’è la tendenza a prendersi troppo sul serio. Un motivo in più per visitare la mostra, e sorridere dell’opulenza spensierata di un tempo.
Francesca Garrisi