Che cosa dice la proposta del Movimento 5 Stelle sulla riduzione dei costi della politica
Oggi in Parlamento è stato riproposto uno dei leitmotiv degli ultimi anni: la riduzione dei costi della politica.
A brandirlo, anche questa volta, è il Movimento 5 Stelle che ha a cuore il tema più di chiunque altro. Il ddl ha come prima firmataria la battagliera deputata Roberta Lombardi e prevede il taglio del 50 per cento della parte fissa dell’indennità e la riduzione della diaria, stimando un risparmio per le casse dello Stato fino a 87 milioni di euro (61 milioni dalle indennità e 25 milioni dalle spese), “più di quanto si risparmierebbe con la riforma costituzionale”, diceva Grillo sabato, in un videomessaggio pubblicato sul suo blog.
L’indennità, ritenuta dai titolari, indispensabile per svolgere il mandato di rappresentanza che il popolo gli ha affidato, è da quest’ultimo ritenuta, al contrario, un odioso privilegio, evidentemente perché non sempre il lavoro svolto corrisponde alle aspettative o alle promesse. Ed ecco, allora, l’eco del malcontento popolare per la cosiddetta “casta” e l’acuirsi del fastidio in periodi di richieste di sacrifici, alternati ad inviti a stringere la cinghia ed a manovre “lacrime e sangue”, tutti provenienti da chi a quei privilegi fa proprio fatica a rinunciare.
Le origini dell’indennità
C’è comunque da dire che l’indennità non è un’invenzione recentissima, affondando le proprie radici nella nostra Costituzione all’articolo 69. Al contrario, lo Statuto Albertino del 1848 non prevedeva nulla di simile, basta leggerne l’articolo 50: “Le funzioni di Senatore e Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione o indennità”, anche se, molto probabilmente, chi fa montare la protesta non lo fa per un confronto, comunque anacronistico dato che lo Statuto favoriva la politica delle élites in un contesto in cui era ancora molto lontano il suffragio universale, quanto per alzare i toni senza tuttavia proporre una soluzione.
La situazione attuale
Ad oggi l’indennità si aggira attorno a 10.450 euro lordi, che diventano 5000 al netto di imposte e ritenute previdenziali, assistenziali e fiscali (mentre per chi svolge un’altra attività lavorativa si attesta a 4.750 euro netti). L’indennità, in base al succitato articolo 69, è “stabilita dalla legge” n.1261 del 1965, la quale a sua volta rimanda a delibere degli uffici di presidenza delle due Camere, secondo le quali questa non può comunque essere superiore ad un “dodicesimo del trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di Presidente i Sezione della Corte di Cassazione ed equiparate”.
Inoltre, a tutela dell’indipendenza del parlamentare, l’indennità è indisponibile e non può essere soggetta a sequestro o pignoramento. C’è, infine, una provocatoria curiosità: fino al 1994 l’indennità parlamentare era oggetto di un trattamento fiscale vantaggioso, in quanto inizialmente vi era una vera e propria esenzione fiscale, che si è andata riducendo, fino a scomparire, a metà degli anni Novanta, a seguito del recepimento di pronunce della Corte costituzionale.
La proposta del Movimento 5 Stelle
La proposta dei grillini è la seguente: passare da un’indennità di 5.000 euro netti al mese a 5000 euro lordi al mese e mantenere la diaria solo per chi non risiede a Roma, solo per spese documentate e comunque entro il tetto dei 3.500 euro. Non finisce qui, infatti una volta dismessi i panni da Parlamentare, Deputati e Senatori hanno diritto ad un assegno di fine mandato e ad un vitalizio che la proposta vuole, per quanto riguarda il primo, abolirlo e uniformarlo al Tfr dei lavoratori dipendenti e, per quanto riguarda il secondo, eliminarlo tout court.
Le premesse sono lodevoli e manifestano una presa di coscienza su un tema molto sentito dai cittadini; altre proposte provenienti da esponenti del Pd, di Democrazia solidale, del Gruppo Misto e di Scelta civica sono nella stessa direzione: sarebbe l’occasione per un’unanimità.
Letizia Santoni