Economia europea, solo il 15% degli occupati lavora nell’industria
Economia europea, solo il 15% degli occupati lavora nell’industria
Tutti abbiamo sentito e verificato di prima persona il declino dell’industria in Italia e in Europa, la diminuzione sia delle industrie che dei lavoratori che vi lavoravano.
E’ stato un fenomeno certamente accelerato dalla grande crisi, ma in ogni caso strutturale, legato al mutamento tecnologico, che ha portato da un lato all’utilizzo di meno forza-lavoro per prodotto, e dall’altro alla scomparsa di alcuni oggetti sostituiti da internet, per esempio. Si pensi a tutto il settore tipografico o musicale.
Non solo, la globalizzazione ha reso il mondo un unico mercato mettendo in competizione Europa e USA con mercati dal costo del lavoro più basso, e tuttavia con competenza sufficiente per produrre beni non troppo complessi.
La competizione è avvenuta all’interno della stessa Europa, con i Paesi Occidentali divenuti meno competitivi di quelli dell’Est.
L’istituto di statistica europeo analizza quindi da un punto di vista fattuale come la UE si distingua al suo interno nell’alveo di questo trend. Quanta importanza abbia ancora l’industria, quanti ci lavorino, come le cose sono cambiate rispetto agli anni scorsi.
Economia Europea, Est Europa in testa per importanza del’industria
Innanzitutto se consideriamo una decina di settori economici principali, all’interno della UE non è l’industria a risultare tra le prime, ma piuttosto il commercio e il retail, che include il turismo, il settore dei trasporti, bar, ristoranti, negozi, ecc.
Questo ambito è in netta competizione per il primato con quello dell’amministrazione pubblica, dell’educazione, della sanità, del sociale.
L’industria arriva terza, ed è ancora più importante osservare la differenza di importanza per PIL e per personale occupato. In alcuni settori l’incidenza sul lavoro è molto bassa in proporzione a quella sul PIL, per esempio nel Real Estate, dove grossi fatturati provenienti da grandi compravendite vengono fatte da relativamente poco personale.
Oppure nell’ICT e nella finanza, dove la produttività e il contenuto di tecnologia è alto e meno lavoratori creano più valore aggiunto, e naturalmente godono di salari più alti.
Anche per l’industria è così, vi è sempre meno bisogno di lavoratori, e anzi vengono richiesti pochi tecnici specializzati.
Avviene l’opposto in agricoltura o nel settore del commercio, della sanità della conoscenza. Qui l’elemento umano rimane indispensabile.
E così per l’industria il declino è ancora più profondo se consideriamo il suo impatto a livello di personale, solo il 15% dei lavoratori è occupato in questo settore, che pure produce il 19% del PIL.
Ma come variano questi dati Paese per Paese?
Per questioni tecniche di revisione delle stime del PIL la quota dell’industria appare molto alta in Irlanda, ma dipende anche dal modo di calcolare il prodotto di alcune multinazionali che si sono stabilite nel Paese per motivi fiscali.
In realtà sono i Paesi dell’Est quelli in cui più di tutti la percentuale di PIL prodotta dall’industria è rilevante: Repubblica Ceca Ungheria, Slovenia, Slovacchia, Romania, Polonia, ecc. Ovunque si supera il 20%.
Il primo Paese occidentale che si trova è la Germania, che è riuscita a rimanere competitiva, eccezione assoluta in Europa, dopo solo l’Austria, la Svezia e la Finlandia sono sopra la media europea, l’Italia è appena sotto, mentre in Paesi come Francia, Grecia, Regno Unito, l’importanza è ancora minore.
Certamente all’Est alcuni settori come la finanza o il terziario della conoscenza sono molto meno sviluppati, ma si tratta soprattutto di un minor costo del lavoro, non ai livelli di quello che si può ritrovare in Asia, ma sufficiente per rendere conveniente, complici le minori tasse, portare le produzioni anche complesse e specialistiche in questi Paesi.
Non si tratta di vestiti, ma per esempio di auto ed elettrodomestici. Aree in cui l’Italia eccelleva.
Economia Europea, dove si reagisce con il settore della salute e dell’educazione, non in Italia
Il nostro Paese è quello che più ha sofferto della diminuzione di occupati nell’industria. Dal 2008 ad oggi c’è sempre stato il segno meno. Dal -4,6% nel 2009 al -0,8% nel 2015, quando in altri Paesi ormai vi era ripresa da due anni.
Aumenti superiori al 2% in Irlanda, Estonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, anche Regno Unito.
I lavoratori tedeschi nell’industria sono sempre aumentati, seppur a ritmi lenti, dal 2011 in poi.
E’ la situazione italiana ad essere più grave
Un altro punto fondamentale è che a fronte della poca importanza del settore industriale in molti Paesi occidentali assume molta rilevanza con l’impiego di più del 25% dei lavoratori il settore della pubblica amministrazione, della difesa, della sicurezza, della sanità e dell’educazione. In particolare questi ultimi due.
Si tratta di quei Paesi con un importante welfare, ma anche con un’elevata importanza data alla ricerca e sviluppo, alla qualità dell’istruzione, non sempre solo statale, d’altronde, che si ripercuote poi sulla produttività degli altri settori, industria compresa.
Si tratta di Svezia, Belgio, Danimarca, Francia, Finlandia, Paesi Bassi, ecc. L’Italia è tra gli ultimi, dietro anche a Ungheria, Polonia, Slovacchia.
Nel nostro Paese trionfa il piccolo commercio piuttosto, non una promessa di competitività per il futuro.