Elezioni USA, election day: guida tecnica al voto. Chi vota cosa?

Pubblicato il 8 Novembre 2016 alle 14:08 Autore: Alessandro Faggiano
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Elezioni USA, election day: piccola guida tecnica al voto

Continuiamo a dedicarci al fatidico election day, che consegnerà le chiavi della White House a uno tra Trump e Clinton. I sondaggi continuano a dare la Clinton come favorita, ma abbiamo già visto che è importante il voto in ogni singolo Stato. In questo caso, saranno gli “Swing States” a decidere le sorti della partita. Vediamo le varie componenti più “tecniche” del voto per la presidenza. Inoltre, si vota anche per il rinnovo di 1/3 del congresso (attualmente a maggioranza repubblicana).

Stati Uniti

Elezioni USA: l’elezione è indiretta e passa dai grandi elettori

Anzitutto, ricordiamo che l’elezione del presidente degli Stati Uniti non avviene in maniera diretta. Ovvero, il risultato delle urne non sancisce ufficialmente chi sarà il prossimo presidente. A doversi esprimere successivamente saranno i “grandi elettori” (rappresentanti dell’uno o dell’altro partito). Questi vengono eletti, con formula maggioritaria (tranne che in Maine e Nebraska) negli stati di appartenenza. Ovvero: il partito che vince – anche di un solo voto – porta a casa l’intera posta in palio.

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In totale, i grandi elettori sono 538. Serve, perciò, l’appoggio di 270 grandi elettori affinché il candidato venga eletto presidente. Il numero di grandi elettori assegnati per ogni Stato è direttamente proporzionale alla popolazione. Gli stati più popolati (come Florida, Texas, New York) hanno un peso molto maggiore rispetto – per esempio – agli stati del Midwest. La California, con i suoi 55 grandi elettori, è lo stato che pesa di più nella geografia elettorale americana. L’organo dei grandi elettori è il collegio elettorale.

Il mandato dei grandi elettori e la possibilità di pareggio

Per quanto, come detto, l’elezione del presidente degli USA avviene in maniera indiretta, i grandi elettori rispettano il mandato democratico della propria popolazione. La pressione che ne deriverebbe dal tradimento del proprio mandato è stato – da sempre – un buon deterrente. Non si tratta di un mandato imperativo ma, nella fattispecie, lo è. Ma cosa succederebbe se si arrivasse a un ipotetico pareggio (269 a 269)? O se un candidato indipendente riuscisse a conseguire la vittoria in uno dei 50 stati? La palla passerebbe al congresso, dopo l’insediamento dei nuovi membri. In quel caso, la Camera elegge il presidente, il Senato il vice-presidente. L’elezione ufficiale sarebbe rimandata a gennaio. La corsa alla presidenza, a quel punto, si estenderebbe a almeno un terzo candidato: presumibilmente il terzo più votato o il vincitore in uno dei 50 stati federali.

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Elezioni USA: partecipazione bassa per fattori strutturali

A differenza del voto in altri Paesi, nella gran maggioranza degli stati federali non si viene introdotti, in automatico, nel censo elettorale. È il cittadino che deve chiedere di essere incluso nel censo elettorale del proprio stato. Per questa ragione, il censo si riduce rispetto alla popolazione in età di voto. Non solo: il voto di martedì (ormai un “ricordo” del XIX secolo) limita la capacità di molti cittadini di muoversi verso il proprio seggio elettorale. L’unione di questi due fattori fa cadere drasticamente la percentuale dei votanti. Tra tutte le democrazie occidentali, quella statunitense e quella svizzera vedono la minor partecipazione elettorale. Entrambe si aggirano attorno al 50%.

Elezioni USA, election day: dalle 21 di stasera i primi exit-poll

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L'autore: Alessandro Faggiano

Caporedattore di Termometro Sportivo e Termometro Quotidiano. Analista politico e politologo. Laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli studi di Salerno e con un master in analisi politica conseguito presso l'Universidad Complutense de Madrid (UCM).
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