In Ritorno al Futuro – Parte III c’è una scena in cui il giovane Marty McFly e lo scienziato “Doc” Emmett Brown recuperano la macchina del tempo nel vecchio cimitero abbandonato dei pistoleros mancati. La DeLorean era stata lasciata lì da Doc, catapultato nel 1885 alla fine della seconda parte della trilogia, per un guasto al controllo dei tempo-circuiti causato da un fulmine che aveva colpito la macchina. Nella scena in questione Marty e Doc analizzano il danno. Il componente danneggiato è un microchip, e a un certo punto Doc afferma: “Ecco perché non ha funzionato: c’è scritto made in Japan.” Siamo nel 1955. Marty, che è cresciuto negli anni Ottanta, gli risponde candidamente: “E che vuol dire Doc? Tutta la roba migliore è fatta in Giappone“. “Incredibile”, risponde lo scienziato degli anni Cinquanta.
Negli anni Cinquanta era inconcepibile anche per uno scienziato avveniristico come “Doc” Emmett Brown immaginare che un paese come il Giappone, distrutto appena un decennio prima dalla guerra e dalle bombe atomiche, avrebbe potuto produrre roba di qualità e esportarla negli Stati Uniti. Negli anni Ottanta quest’ipotesi era invece diventata una consolidata certezza, alla portata anche di un ragazzo come Marty.
Oggi sappiamo che il caso del Giappone è solo il primo della lunga serie di paesi che hanno conosciuto un autentico boom economico grazie all’esportazione delle proprie merci. A partire proprio dagli anni Cinquanta il Giappone crebbe ad un ritmo impressionante. La sua economia era trainata dalle esportazioni negli Stati Uniti e in Europa grazie a salari contenuti e a una grande competitività.
Verso la fine degli anni Ottanta il Giappone è un paese ormai enormemente sviluppato. È da circa venti anni la seconda economia del mondo, e continua a crescere anche più degli Stati Uniti. I suoi prodotti hanno ormai raggiunto livelli massimi di qualità (da cui l’osservazione di Marty), soprattutto nel settore dell’industria dei mezzi di trasporto e dell’elettronica di consumo. Il miracoloso sviluppo export-led (trainato dalle esportazioni) tocca ora altre realtà dell’Asia orientale. Le famose “tigri”: Corea del Sud,Taiwan, Hong Kong e Singapore, dove un mix tra boom del manifatturiero e sviluppo di servizi finanziari porta in pochi anni a livelli di sviluppo paragonabili a quelli dell’Occidente. A queste si aggiungeranno poi le “tigri minori”: Filippine, Indonesia, Malesia e Thailandia.
Nello stesso periodo le imprese americane e dell’Europa Occidentale hanno ormai consolidato i loro processi di delocalizzazione anche in America Latina, nell’Europa dell’Est e in alcuni paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. La mappa del mondo industrializzato si è ormai allargata: la globalizzazione dell’economia è ormai compiuta. Possiamo identificare nel 2001, anno di adesione della Cina all’Organizzazione Mondiale del Commercio, il “punto di non ritorno” della globalizzazione economica lentamente attuata dal secondo dopoguerra.
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