Usa 2016: tre pezzi facili
Usa 2016: tre pezzi facili
In queste ore si stanno facendo tante di quelle analisi politico-elettorali sulle elezioni presidenziali Usa, da riempire l’intero archivio del Cern di Ginevra.
Si parla di voto femminile, di stati in bilico e di critiche all’establishment.
Io preferisco sostanzialmente guardare al futuro, facendo qualche pensierino su quali possono essere delle linee guida della prossima amministrazione Trump. E non essendomi pressoché mai espresso sul potenziale esito di queste elezioni (pensavo sinceramente vincesse Hillary Clinton, nella misura in cui la più grande democrazia del mondo non mi sembrava ancora del tutto pronta per una candidatura di rottura come quella trumpista) mi interessa relativamente parlare del passato e di questi a tratti onirici mesi del 2016. Mi limito dunque a lanciare tre pezzi.
Usa 2016, tre pezzi facili su queste elezioni presidenziali statunitensi:
Secondo me perché ha perso la Clinton.
All’inizio del 2016 nei media americani e sopratutto sui social nasce un nuovo fenomeno: quello dei sostenitori di Bernie Sanders. Repubblica ed altri giornaloni incominciamo a discettare l’argomento e danno vita ad inchieste in cui i giovani universitari vanno matti per i politici stagionati (Corbyn, Sanders, secondo alcuni sul fronte destro anche il francese Juppé). Un fenomeno quasi da conservatorismo compassionevole. Ma che col passare del tempo tende a diventare una moda vuota.
A furia di parlare di Sanders infatti gli stessi sostenitori del Senatore del Vermont (per non parlare di quelli di Clinton) sottovalutano del tutto il dato politico maggiormente rilevante della campagna sanderista: l’aver palesato la forte debolezza e lo scarso carisma della candidatura di Hillary. Esperta, affidabile, famosa in tutto il mondo, col partito che di fatto la impone come candidata unica, la Clinton più passa il tempo più non vince tutti quegli stati alle primarie che avrebbe dovuto vincere. E Sanders, pur avendo zero chance di trionfare in questa competizione, non si ritira fino all’ultimo palesando in questo modo come la Clinton riesca pure a perdere contro un non-competitor. Un aspetto che spinge lo stesso Obama (che in questa campagna ha assunto in certi frangenti la veste di vero e proprio leader di partito) ad incontrare il Senatore del Vermont per dirgli: regolati, non abusare delle debolezze altrui. Che la candidatura della Clinton non scaldasse i cuori e che non fosse ben vista da certi settori di elettorato era evidente dalla performance elettorale di Sanders, non tanto dal Sanders pensiero in se. Il grande insegnamento che ci avrebbe dovuto lasciare il Senatore del Vermont sarebbe dovuto essere quello. Non altri.
Una certa idea di repubblicanesimo
La vittoria di Donald Trumpo per certi versi potrà aprire una pagina nuova (o almeno parzialmente nuova) per la destra repubblicana. Il più anziano Presidente della storia degli Stati Uniti d’America, sappiamo bene, è un’outsider del partito. Un imprenditore che si è buttato nella mischia delle primarie sfruttando un Gop senza bussola e privo di baricentri politici. Trionfando inaspettatamente ha perlopiù eliminato i settori dominanti nell’ultimo trentennio di repubblicanesimo Usa: quelli del conservatorismo reaganiano e del neo-conservatorismo bushista. Essendo questa istanze dalle forti tinte idealistiche, l’allontanamento di Trump dall’approccio bushista ha spinto le componenti più centriste del partito ad avvicinarsi alla sua candidatura. Da qui il ruolo di Chris Christie in queste elezioni. Da qui gli strali di Newt Gingrich su Fox News. Da qui l’inedito ruolo di Rudy Giuliani che, ne sono sinceramente convinto, ha visto Trump come un’occasione di rinnovamento per tutta la destra americana. In nome di precetti protezionistici tipici del primo dopo-guerra (quando Trump parla dalla Florida di “torneremo a vincere” con torneremo si riferisce sicuramente ai vari Hoover e Coolidge) ma anche di un approccio che ha smesso di essere maggioritario all’interno dei repubblicani dalla prima metà degli anni ’70. Quando (non a caso secondo alcuni a causa di un complotto interno alla destra) le dimissioni di Nixon eliminarono l’ultimo argine contro il proliferare delle istanze reaganiana. Da questo punto di vista occorre non essere allarmistici nei confronti della presidenza Trump: il magnate non sembra essere la persona più preparata in assoluto. Ma proprio per questo non è che detto che siano proprio le persone impreparate…quelle veramente in grado di causare grandi danni! Il sistema statunitense con tutte le sue difficoltà può reggere. E ci immaginiamo un Christ Christie Segretario di Stato o un Rudy Giuliano Procuratore Generale (mio pallino da tempo) che non si chiudono in se stessi. Ma che in realtà guardano il mondo con curiosità. Cercando di cogliere nuovi orizzonti e rinnovate posture. E non in nome dell’unipolarismo di matrice bushista. Stupiteci.
Trump alla Casa Bianca un’opportunità (per certi versi) per l’Europa.
Abbiamo detto che Trump in realtà non inventa nulla. I soldi non sono i suoi (come quelli di Bloomberg) ma del padre. Le idee non sono le sue, ma dei nonni: l’approccio isolazionista negli affari internazionali non è nuovo nella politica Usa ma ha una antica storia. In un mondo però sempre più multipolare, in cui le aree continentali tendono ad assumere una rilevanza geopolitica centrale, l’Europa avrebbe anche delle occasioni da sfruttare da questa situazione. Col tempo forse si è abusato dell’ombrello americano. Si è visto il legame Europa-Usa come qualcosa di solido, ai limiti della mera dipendenza, Non sappiamo se gli Usa si chiuderanno in se stessi. Se lo faranno però daranno a questo gesto la patina del formale mentre in passato già da Obama l’Europa aveva perso la sua sostanziale centralità a scapito di altre aree geografiche (Asia in primis). Questo scenario potrebbe portare gran parte della classe dirigente europea a ripensare l’infrastruttura comunitaria: consapevoli che il destino appartiene a noi e che non è eterodiretto ormai da nessun’altra potenza esterna.
Considerando la lungimiranza della classe dirigente europea, do quasi per scontato questa occasione come molte altre non verrà per nulla considerata politicamente.