ISIS e Occidente: cosa è cambiato a 365 giorni dal massacro del Bataclan
Un anno fa (venerdì 13 novembre 2015) si consumava uno degli attentati terroristici più cruenti che l’Occidente abbia conosciuto. La mattanza del Bataclan si portò con sé oltre 80 vittime. Europei e asiatici, donne e uomini, cristiani e islamici, eterosessuali e omosessuali. La violenza del commando non solo inorridì il mondo intero, bensì spaventò realmente la popolazione europea e nordamericana. Gli effetti dell’attentato al Bataclan di Parigi si sono prolungati nel tempo e hanno irrigidito la divisione di differenti posizioni politiche.
Il populismo reazionario ha visto una importante crescita di consensi. Da Marine Le Pen (Front Nacional) a Matteo Salvini (Lega Nord), passando per Nigel Farage (principale sostenitore del Brexit). La forza della narrativa divisoria tra ‘noi’ e ‘loro’ è aumentata, non solo a causa dell’esacerbazione del discorso nazionalista.
ISIS: un anno di attentati anche in Africa e Medio Oriente
A subire le conseguenze del fanatismo terrorista non è stata solo l’Europa, anzi. In termini di vittime complessive, l’ ISIS ha inferto ferite ancor più laceranti in Africa e Medio Oriente. La Nigeria è stata dilaniata dal gruppo di Boko Haram, riferente alla dottrina wahabista (la stessa dottrina che regge la Shari’a in Arabia Saudita). Alcuni attentati hanno raggiunto l’ordine delle centinaia di vittime e da quasi un anno collaborano con le forze dell’ISIS. Anche il Camerun è stato vittima di attentati, oltre a rapimenti di massa.
Il Medio Oriente non se l’è passata meglio. In particolar modo, la capitale dell’ Iraq, Baghdad, è stato un bersaglio privilegiato dello Stato Islamico. Inoltre, verso giugno, è stato sventato – secondo le fonti di intelligence – i lmaggior attentato che avrebbe visto Teheran (capitale dell’Iran). È da tenere in conto che la maggior parte delle vittime dell’ISIS sono persone musulmane. Ciò significa che dietro la maschera ideologica della religione, continuando ad essere celati interessi di natura economica e politica.
Gli effetti sull’ Occidente
Come conseguenza delle strategie del terrore, il populismo più reazionario e nazionalista ha cominciato a soffiare con decisione in Europa. Le frontiere esterne dell’Europa sono tornate al centro dell’attenzione e del dibattito. L’argomento centrale dei sostenitori del Brexit riguardava proprio il ritorno alla piena sovranità sulle frontiere.
Stesso discorso è applicato da Viktor Orban, presidente dell’Ungheria e leader delle file reazionarie. Il braccio di ferro tra Orban e l’UE si deve anche al clima di tensione generato dall’imponente flusso migratorio proveniente da est. Tra gli effetti sociali più rimarcabili vi è l’incremento dell’intolleranza e della segregazione sociale. A questa radicalizzazione identitaria contribuisce, come detto, sia il discorso politico sia le stesse pratiche sociali.
Dall’altro lato dell’Oceano, “The Donald” è riuscito a canalizzare le istanze di una parte di popolazione colpita psicologicamente dalla paura di nuovi attentati. La politica isolazionista di Trump e le sue idee estreme sulla frontiera hanno fatto presa sull’elettorato. La politica interventista di Hillary Clinton, sulla carta, non avrebbe aiutato a ridurre la tensione con il Medio Oriente e con il nemico che viene da lontano.
Tra le chiavi di lettura che si possono attribuire alla vittoria di Trump, vi è anche la capacità di aver saputo affrontare, con maggior decisione, una delle grandi paure della popolazione americana. Una paura che affligge tutti, indistintamente. Bianchi, latinos o afroamericani. Cristiani, laici o islamici. Trump ha offerto la soluzione più drastica e questo, in termini elettorali, ha pagato. E bene.