Clamorosa sorpresa alla American Airlines Arena dopo la seconda batosta subita dai Miami Heat davanti al proprio pubblico. Che San Antonio potesse vincere due volte in trasferta era anche pensabile, pur con molte riserve in merito, ma che lo facesse portando entrambe le volte lo scarto oltre i 20 punti di vantaggio, beh questo era forse da annoverare nella categoria “sogni erotici” dei loro tifosi più incalliti, o degli haters più sfrenati dei loro avversari. Ma tant’è. Gli Spurs dominano gara 4 per tutti e 48 i minuti, stavolta senza mai rischiare come invece era successo nella gara precedente. Segnale importante che forse gli Heat non ne hanno veramente più. Ma non ci giureremmo.
Gli ospiti partono di nuovo bene, mentre per i padroni di casa Bosh inizialmente risponde ma poi sparisce dal campo. I neroargento non hanno prestazioni da record ma tirano comunque bene nel primo quarto (56%) concedendo appena il 37% ai biancorossoneri. A fine periodo il tabellone recita 26-17, ma la notizia è James che fugge negli spogliatoi salvo poi tornare dopo qualche minuto senza apparenti problemi fisici. Nel secondo quarto, un sempre positivo Green regala ai suoi il +14, poi Cole e Andersen danno un minimo di contributo dalla panchina per il 31-20. Diaw regala un meraviglioso assist dietro la schiena per Splitter, e di là un eterno Ray Allen con due triple riporta i suoi a -9. San Antonio risponde con un 5-0 in uscita dal time out, costringendo Spoelstra a chiamarlo a sua volta. Con cinque minuti ancora da giocare Miami commette errori in sequenza e quando James (1/2) e Wade (2/2) rimettono punti a referto dalla lunetta siamo sul 48-33. Parker stasera si dedica a cercare il canestro con ottimi risultati e sulla tripla di Mills il tabellone recita -20 con 1:31 da giocare. Time out Heat, ma Chalmers (inguardabile anche oggi) commette fallo in attacco. La faccia di Riley è un commento migliore di qualsiasi parola. Non passa un minuto che sulla testa dei padroni di casa piove un clamoroso tap-in in schiacciata di un positivissimo Leonard, e solo una tripla da campione di James riporta lo svantaggio sotto le venti lunghezze (55-36). Tutto questo con un Duncan da 1/2 al tiro e Ginobili da 1/3. Spoelstra dopo l’intervallo propone Allen in quintetto al posto di Lewis, e come in gara tre Miami sembra profondere lo sforzo maggiore per recuperare, con sei punti in fila di James, due di Chalmers e ancora un 2/2 dalla lunetta del numero 6.
Ci sono però due problemi non da poco: il primo è che i due punti di Mario saranno gli unici segnati dalla squadra di casa escludendo il loro leader maximo, che ne metterà sì 19 nel terzo periodo, ma da solo a questo livello miracoli non ne può fare neppure lui. Il secondo problema è che Miami, sostanzialmente, non difende. Dal 61-48 infatti il parziale recita 12-1 Spurs, e a nulla serve rimettere Lewis alzando il quintetto. Difesa porosa, palle perse anche banali e nessuna reazione di rabbia, di voglia o almeno di frustrazione. A qualsiasi livello così non si può vincere, figuriamoci sul palcoscenico dell’NBA. L’ultimo quarto conferma solo quanto visto finora, e permette di ammirare la superba prestazione di Boris Diaw: 8 punti, 9 assist e 9 rimbalzi se volete delle crude cifre. Sempre la cosa giusta se invece vogliamo essere un po’ più poetici. La comparsata in campo del nostro Beli in pieno garbage time (anche se mancano ancora 3:43 sul cronometro la gente abbandona già l’arena) che fa in tempo a segnare un paio di canestri, e soprattutto il sontuoso Kawhi Leonard (20 punti, 14 rimbalzi, tre stoppate e tre recuperi di cui uno strepitoso su Wade), che di questo passo rischia veramente di candidarsi al titolo di MVP delle finali. D’altronde 29 punti a questo livello e a nemmeno 23 anni li avevano segnati finora solo Magic Johnson e Kobe Bryant (2 volte), mica Tom e Jerry.. Si ferma la serie di Miami, che da 48 gare non perdeva due volte consecutivamente in una serie di play off (ultimi a rifilargli due sconfitte di fila i Celtics del 2012). Domenica sapremo se gli Heat dovranno abbandonare lo scettro del comando, o se il cuore dei campioni può battere ancora qualche colpo.