La luna calante dell’Impero: la Turchia e la falce della repressione

Recep Tayyip Erdogan

La luna calante dell’Impero: la Turchia e la falce della repressione

La falce della repressione governativa in Turchia procede indefessa nella sua mietitura senza quartiere. L’undici novembre è stato arrestato Akin Atalay, presidente del Consiglio di amministrazione del maggiore quotidiano d’opposizione del Paese, Cumhuriyet. Le forze di sicurezza lo hanno bloccato al suo arrivo presso l’aeroporto di Istanbul. La garrota messa in atto dal potere d’azione dell’ormai Sultano in pectore Erdoğan sta lentamente soffocando le espressioni della stampa, della società civile e del mondo accademico. L’arresto di Atalay fa seguito al fermo di altri nove redattori del giornale, avvenuto il 31 ottobre, con l’accusa di finalità terroristiche e di adesione formale ed intellettuale al golpe del 15 luglio 2016. Inoltre, lo Stato vive in queste ore una crescente destabilizzazione politica legata a continui attentati. Questi si concentrano, in buona parte, all’interno delle difficili zone di etnia curda del Sud-Est, tra le province di Diyarbakir e di Mardin.

La luna calante e la Turchia di Erdoğan

La falce di luna calante è il simbolo della Turchia e più in generale di un antico retaggio culturale islamico dell’intero Oriente. Insieme alla stella a cinque punte ed allo sfondo rosso della bandiera, essa rappresenta il simulacro dei lunghi anni di tradizione e transizione che videro, soltanto tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, il definitivo crollo dell’Impero Ottomano. Il 10 novembre sono state onorate le memorie di Atatürk, fondatore e primo presidente della Repubblica turca nel 1923.

Oggi sembra proprio che il Paese in mano ad Erdoğan stia invece tornando sui suoi passi. Una nuova fase lunare calante verso un impero sostanziale, figlio di una Costituzione ridotta ai minimi termini e di un potere invadente e distruttivo concentrato nelle mani di un solo autocrate. L’Unione europea, che con Ankara intrattiene accordi per la gestione delle frontiere e dei flussi migratori per sei miliardi di euro, dovrà celermente agire con attenzione attraverso le trame di una santabarbara che rischia seriamente di degenerare sia dal punto di vista politico, che strategico e militare.

La Turchia odierna: una prigione a cielo aperto

Secondo l’ex direttore di Cumhuriyet, Can Dündar, “la Turchia è diventata la più grande prigione di giornalisti al mondo”. Nel pensiero del cronista, condannato a cinque anni per divulgazione di segreti di Stato e fuggito in Germania, l’Europa dovrebbe assolutamente fare di più ed a breve. L’Alta rappresentanza per la Politica Estera, gli organi di Difesa comunitari e financo la Nato, consesso di cui Ankara fa parte, “hanno tenuto un comportamento refrattario e apatico di fronte alla gravità degli eventi”.

Un complesso reticolato di editti ed emendamenti estemporanei, sovente pretestuosi, sono stati emessi dal presidente Erdoğan e dal premier Yıldırım. In queste ultime settimane hanno ristretto ancora di più le basilari norme del diritto e della politica parlamentare. Il partito del sultano, l’Akp, detiene una corposa maggioranza dei seggi dal 2002. Recentemente, dodici deputati del Partito democratico del popolo (HDP), uno dei più attivi schieramenti dell’opposizione favorevole alle rivendicazioni turco-curde, sono stati imprigionati e incarcerati. Tra i fermati figura anche il carismatico leader del movimento Selahattin Demirtaş. Le Monde stima il numero delle persone sottoposte a regime detentivo dal 15 luglio ad oggi sulle 35mila unità. Ancora, vi sono stati più di 95mila licenziamenti nella pubblica amministrazione, la metà di questi hanno riguardato insegnanti di scuola e professori universitari.

Riccardo Piazza