Quali saranno le nuove prospettive del commercio internazionale e delle economie orientali? Quale atteggiamento mantenere nei confronti del paventato “New Deal protezionistico” degli USA, specialmente dopo le elezioni di Donald Trump? Soprattutto, che fine faranno gli accordi di libero scambio riguardanti non soltanto il mercato a stelle e strisce quanto anche il Vecchio continente? Queste le principali tematiche discusse all’interno del Forum asiatico-pacifico (Apec), svoltosi recentemente a Lima, capitale del Perù. Presenti al tavolo dei lavori 21 Paesi membri. In prima fila, naturalmente, il presidente uscente Barack Obama, Vladimir Putin, dunque Xi Jinping.
Il vertice Apec: l’equilibrio difficile del mercato globale
Il commercio mondiale cammina a passi incerti sul crinale di un esile filo d’equilibrio. Il libero scambio figlio della globalizzazione dei mercati che in questi anni ha registrato una supremazia assoluta rischia seriamente di subire un forte rallentamento, nonché un serio ripensamento di paradigma. Il protezionismo economico vicino al rinnovato sentire nazionalista delle grandi potenze politiche ha, soltanto per fare un esempio, già messo in dubbio le strategie degli scambi di Washington nel Pacifico. Barack Obama, durante il dipanarsi dei lavori, ha rassicurato la platea dei convitati circa le velleità della nuova amministrazione che dal 20 di gennaio prenderà il timone della Casa Bianca. Eppure lo ha fatto ben consapevole che il TPP (Partenariato Trans-Pacifico), firmato a febbraio in Nuova Zelanda, non vedrà mai applicazione concreta a causa della ribadita opposizione da parte del presidente eletto Trump (rifiuto che d’altra parte va a braccetto con il rinnovato comune sentire filo-russo).
Il vertice Apec: il ruolo della Cina
Se da una parte gli Stati Uniti sembrano volersi chiudere a riccio rinunciando ad alcune peculiarità tipiche del liberismo di mercato nel Pacifico, pensando di più alla salvaguardia della domanda interna e della propria produzione di beni e servizi, dall’altra, la Cina guarda con rinnovato vigore ed interesse alle aperture dell’export globale ramificato e interconnesso. In un paradossale gioco delle parti, all’interno delle sue giornate di riflessione, il raduno dell’Apec ha così certificato il mutamento dei ruoli: lo scettro del libero scambio sembra attraversare le valli e le mountains per approdare a Pechino. Xi Jinping ha recentemente ottenuto dal Fondo monetario internazionale (FMI) l’inserimento dello Yuan nel paniere delle valute di riserva per i traffici internazionali. La volumetria del mercato cinese è in continua espansione. Essa certifica una predominanza per 140 Paesi nel mondo. Tuttavia, ad oggi, l’istanza dell’ottenimento dello status di economia di mercato è ben lungi dall’essere raggiunta.
Una alleanza di stampo free trade tra le potenze della congregazione asiatico-pacifica, sull’esempio di quella proposta dal presidente cinese a margine dei colloqui dell’Apec, varrebbe migliaia di miliardi di dollari. Le ventuno economie che si affacciano sull’Oceano Pacifico equivalgono al 54 per cento dell’intero indotto economico mondiale ed al 50 per cento degli utili di tutte le esportazioni globali.
Riccardo Piazza