Si scrive Donald Trump si legge Matteo Salvini
O almeno questa sarebbe l’intenzione del leader della Lega che sembra determinato a speculare sul clamoroso successo elettorale del tycoon statunitense e “passare all’incasso” veicolando un messaggio semplice e chiaro: la vittoria di Trump è anche una vittoria della Lega. In effetti nel corso della lunghissima campagna presidenziale americana il segretario del Carroccio non ha perso occasione per schierarsi a favore della candidatura di Trump e persino quando il neo Presidente americano sembrava averlo scaricato, arrivando addirittura a negare di averlo incontrato (nonostante alcune foto li ritraessero insieme), Salvini aveva dimostrato un insolito aplomb: “Spero che Trump diventi presidente degli Stati Uniti. Lui fa una battaglia per gli Usa, ma l’Italia è l’Italia e nessun modello è esportabile”.
Si scrive Donald Trump si legge Matteo Salvini
Oggi però Matteo Salvini rivendica con forza il sostegno della prima ora accordato al magnate newyorkese e nel suo successo vede i prodromi di una nuova stagione politica nuova anche in Italia: “Questa è stata la rivincita del popolo contro il sistema. Ora per la Lega è il momento di osare, di andare oltre i vecchi partiti. Non è più il tempo dei tentennamenti, chi ci ama ci segua”. Ma esiste davvero un legame fra Trump e Salvini o il tentativo del successore di Umberto Bossi di accreditarsi come un “Trump Made in Italy” non ha alcuna ragione di sussistere?
In primo luogo va ricordato che, mentre l’imprenditore e personaggio televisivo americano si è presentato al popolo a stelle e strisce come un vero e proprio outsider – addirittura osteggiato dalla quasi totalità del partito repubblicano – Salvini deve essere considerato a tutti gli effetti un “politico di professione” essendo presente, ormai dal lontano 1993, sulla scena pubblica.
Sarebbe però sbagliato negare che l’ex consigliere comunale milanese (carica ricoperta dal 1993 al 2012) ed il nuovo Presidente a stelle e strisce condividano, almeno da un punto di vista propagandistico, alcuni temi fra cui abbassamento delle tasse, lotta al terrorismo, decisa difesa dei confini nazionali e quindi contrasto all’immigrazione. A confermarlo è lo stesso leader della Lega: “Io ho letto il suo programma e per molti aspetti ricalca quelli che sono i progetti della Lega in Italia: una tassa al 15% per le imprese, separazione delle banche d’affari dalle banche normali, per evitare i casi Monte dei Paschi, Banca Etruria, Popolare di Vicenza”.
Inoltre entrambi dimostrano la tendenza ad utilizzare toni eccessivi (molto poco politically correct), spesso e volentieri anche violenti, ma che piacciono terribilmente ad una certa categoria di elettori delusi ed arrabbiati con chi ha avuto responsabilità di potere in passato. Va però ricordato che la Lega è un partito che ha avuto più di un’occasione per confrontarsi con le responsabilità di governo (1994, 2001 e 2008) ottenendo risultati probabilmente al di sotto rispetto alle aspettative del suo elettorato. Salvini, in questo senso, sembra rappresentare più un elemento di continuità che di rottura con il passato.
A ben vedere, guardando alla storia personale di Trump, l’imprenditore 70enne potrebbe essere avvicinato più a Silvio Berlusconi che a Matteo Salvini perché anche l’ex Presidente del Consiglio italiano è un self-made man a capo di un impero sebbene sia riuscito, a suo tempo, nell’impresa di presentarsi come un soggetto anti-estabilishment. In definitiva non è del tutto azzardato sostenere che Trump sia riuscito a conquistare larga parte di quell’America conservatrice che non si riconosceva nella Clinton proprio come il Cavaliere era riuscito a sfondare nell’area moderata agitando lo spauracchio del comunismo.
Ma mentre il fondatore di Forza Italia non vuole essere accostato al neo Presidente degli States (“Con lui ho pochi punti in comune. Entrambi abbiamo deciso di metterci al servizio del nostro paese, ma la sua storia è molto diversa dalla mia”), il segretario della Lega sta cercando in tutti i modi di sfruttare l’elezione americana a suo vantaggio, spingendosi a dichiarare: “Governeremo l’Italia con il programma di Trump. Tutto il resto è noia”. Dunque all’indomani del risultato delle elezioni USA , sembra proprio scoccata l’ora di una resa dei conti interna al centrodestra che, alimentata dalle conseguenza di una probabile vittoria del NO al referendum del 4 dicembre, mette di fronte i due principali leader del centrodestra italiano: Salvini e Berlusconi.
Il leghista ha deciso di puntare tutto sul “modello Trump” mentre Berlusconi appare deciso a non rinunciare ai suoi elettori moderati. Ma l’Italia non è l’America e pertanto quello che accadrà nello schieramento di centrodestra dopo il referendum costituzionale è assai difficile da prevedere.
Marco Sabatini