Cuba dopo Fidel: la coda lunga del “Periodo especial”

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Cuba dopo Fidel: la coda lunga del “Periodo especial”

L’ultimo carico di aiuti alimentari per la popolazione di Cuba, proveniente dagli ormai collassati territori dell’Urss, arrivò nei porti di L’Avana nel 1991. Il Muro di Berlino era crollato nel 1989 e le materie prime, nel piccolo paradiso socialista, cominciavano a scarseggiare. A rischio vi erano non soltanto l’indipendenza politica del Paese e la salute dei cittadini, quanto uno dei paradigmi economici di base della via al socialismo tanto cara a Fidel Castro: la nazionalizzazione dei mezzi di produzione. Cominciava così quello che la storia ricorda come “el periodo especial”, ovvero una gravissima recessione accompagnata dalla penuria di generi di prima necessità.

Cuba dopo Fidel: la coda lunga del “Periodo especial”

L’Avana, 8 gennaio 1959. Le truppe dei ribelli di Castro, i Barbudos dalla mimetica verde, entrano trionfalmente in città prendendo definitivamente possesso dell’intera isola di Cuba e rovesciando il precedente regime, fantoccio politico imposto dagli Usa, di Fulgencio Batista. La lotta fu tuttavia lunga e corrosiva, cominciò nel 1956 quando dallo yacht Granma, 81 rivoluzionari e sodali di Fidel Castro, tra i quali l’attuale Segretario generale del Partito e fratello del Líder Máximo Raùl Castro, Che Guevara e Camilo Cienfuegos, diedero l’assalto ai bastioni dell’esercito regolare. Nei mesi successivi alla vittoria dei rivoluzionari, maturarono tutte le premesse per lo smantellamento del modello economico di sussistenza fino ad allora tipico degli anni di Batista, ma la vera svolta arrivò nell’aprile del 1961.

Un golpe, organizzato dalle forze segrete di sicurezza americane, programmato durante l’amministrazione Eisenhower e lanciato durante i primi mesi della gestione di John Fitzgerald Kennedy, tramite l’addestramento di alcuni mercenari cubani esuli della prima ora, lasciò sul terreno morte e rovina. Fu il fallito sbarco nella Baia dei Porci. Le forze controrivoluzionarie dovettero piegarsi dopo tre giorni di scontri alle armi di Fidel Castro, il quale colse la palla al balzo per dichiarare la nascita della Repubblica di Cuba, Stato monopartitico di stampo socialista. L’isola riceverà in seguito forti aiuti economici e militari da parte dell’Unione Sovietica, interessata alle basi missilistiche sul territorio. La statalizzazione dei mezzi di produzione primaria, il controllo delle industrie ed il passaggio del sistema economico sotto l’egida del Partito tramite lo sviluppo dell’agricoltura furono i vagiti di un modello nascente.

Il primo acquisto di un ingente lotto di barbabietola da zucchero, produzione tipica, venne siglato tra Mosca e L’Avana nel 1966. Inoltre il Cremlino concesse prestiti monetari a tassi di interesse irrisori. Per contro, gli USA posero un severo embargo commerciale e gli equilibri geopolitici di guerra vennero più volte messi a dura prova. Siamo di fronte all’inizio di un annoso braccio di ferro. Fidel Castro dichiarò fiducioso di voler creare in America Latina “dos, tres, muchos Vietnam”. Avamposti sovietici contro l’impero capitalista.

Quando però le sorti della Guerra Fredda volsero a favore del Blocco occidentale, Cuba si ritrovò senza più sostegno per le sue importazioni commerciali. Le fallacie di un sistema economico basato sull’indipendenza dai mezzi di produzione e sull’alienazione dell’impresa privata avevano creato un ircocervo. L’isola divenne dipendente dagli altri Paesi cui legò le sue fortune. Tra gli anni Ottanta e Novanta la terra del Cuba Libre subiva continui blackout, “apagones”, con una media di 14 al dì. Il settore energetico venne sostenuto dalle continue immissioni di petrolio venezuelano elargite prima da Chávez e poi da Maduro (90mila barili al giorno in cambio di maestri e dottori istruiti provenienti da L’Avana).

Oggi tutto questo non è più sostenibile, complice la crisi sistemica dell’inflazione e dell’occupazione di Caracas. Inoltre, l’imposizione della doppia moneta vigente, il Peso Cubano (Cup) in vigore dal 1994 utilizzato esclusivamente per pagare i magri salari statali e il Peso Convertibile (Cuc), equiparato all’euro, il cui cambio è di 25 volte superiore, ha creato una vera e propria sperequazione sociale. Soltanto con la seconda valuta possono essere comprati beni e servizi. Tutto questo rappresenta una delle debolezze maggiori della politica economica odierna del Partito. Nelle fabbriche si lavora poco e male, i mezzi non soddisfano la domanda interna e non vi è alcun ascensore sociale perché la classe operaia non è abituata alla competizione di mercato.

In una Cuba in questi giorni silenziosa per l’estremo saluto all’amato quanto odiato Comandante Supremo, le sfide aperte fin dai tempi del “periodo especial” sono più che mai vive: l’embargo “yanqui” è ancora valido nonostante il disgelo dei rapporti politici, favorito dalla presidenza Obama, e la riapertura delle ambasciate sancita nel 2015. Per il futuro a L’Avana servirà forse una transizione. In una delle sue ultime interviste, rilasciata quattro anni fa alla rivista americana The Atlantic, Fidel Castro dichiarava: “Il socialismo? Non funziona più neanche a Cuba”.

Riccardo Piazza