Elezioni Austria 2016: Il voto che salverà l’Europa?
Il risultato del voto tenutosi ieri in Austria rappresenta qualcosa di più della semplice affermazione di un candidato vicino alle velleità politiche dell’Unione europea, Alexander Van der Bellen, uscito vincitore dalle urne con il 53% delle preferenze. Ciò che Vienna ha espresso per la seconda volta, a seguito dell’annullamento sancito dall’Alta corte del ballottaggio tenutosi lo scorso maggio, è la certificazione di una patologia profonda insita nelle maglie della politica comunitaria e allo stesso tempo una panacea importante, ma non certo sufficiente ai fini della stabilità del Vecchio continente.
Elezioni Austria 2016: Il voto che salverà l’Europa?
L’Austria, l’Europa ferita e l’era della post-globalizzazione
C’è stata una Europa che ha aspettato con il fiato sospeso la certificazione dello spoglio elettorale. Un continente ferito ha ormai intrapreso un lungo e irreversibile cammino verso un mutamento delle sue prassi fondamentali. È inutile negarlo. L’affermazione di Van der Bellen a scapito del suo concorrente Norbert Hofer, 46% il suo non indifferente indice di gradimento, rappresentante di una destra nazionalista, arcigna, identitaria, quanto di quella lenta, montante e forse erroneamente inascoltata marea di populismo e scontento, ha di certo posto un freno ai cavalli. Tuttavia non sarebbe saggio illudersi che la nuova Austria del 4 dicembre 2016 possa essere la soluzione definitiva alle storture evidenti di Bruxelles.
Negli stessi periodi in cui in Italia, al culmine di una campagna dissacrante e ben povera di contenuti, ci si preparava a respingere al mittente la proposta di riforma costituzionale con la netta affermazione del “No” al referendum, i prodromi di un sentimento generazionale e sociologico ben radicato, diffidente, simbolo di una attuale post-globalizzazione, si palesavano più volte sotto gli occhi di tutti. Prima Brexit, poi i labili accordi di facciata sulla gestione dei migranti e l’incombente sfera d’influenza turca, dunque le elezioni di Donald Trump negli Stati Uniti d’America. C’è una Europa da salvare, principalmente, da una degenerazione di sé.
L’Austria e le ragioni del dissenso
In Austria il dissenso verso le istituzioni e verso i parlamenti federali tradizionali, portatori di una coalizione politica che da sempre ha visto concordi le mire del Partito Socialista e di quello Popolare, uniti nella più classica quanto stagna compagine governativa di larghe intese, ha radici profonde. Secondo Antonio Pelinka, politologo alla Central European University di Budapest “tra le città principali e la provincia si è creato un solco profondo”. Tale insoddisfazione si è nutrita dell’impoverimento repentino della classe media e dei braccianti del settore industriale in declino.
Intorno ai fasti della capitale Vienna, precisamente nella circoscrizione orientale del Burgenland, la scissione sociale non è rimasta soltanto protesta disorganizzata, ma è divenuta dapprima sistema articolato, poi proposta politica, dunque programma di autogoverno di cui Hofer si è saputo fare discreto portavoce. In questi territori, ieri come in maggio, il candidato della destra estrema ha ottenuto una concentrazione di voti di gran lunga superiore, seppur non adeguata alla luce dei risultati finali, rispetto a quanto conseguito dal suo avversario. La provincia austriaca orientale, confinante con l’Ungheria, è una delle circoscrizioni più povere dell’intera nazione. Essa è l’unica ad avere un Pil pro capite inferiore alla media Ue.
Riccardo Piazza