Referendum: vince il No e la Borsa vola, perché?
Referendum: vince il No e la Borsa vola, perché?
“258 mila posti in meno con la vittoria del No a fronte di 319 mila posti in più rispetto a oggi se la spuntasse il Sì. E 4 punti di Pil in meno in tre anni” metteva in guardia, la scorsa estate, il Centro Studi di Confindustria. Stando a quanto previsto dall’ufficio studi di viale dell’Astronomia, la vittoria del “no” avrebbe condotto ad un caos politico che si sarebbe necessariamente ripercosso sulla situazione economica italiana e sui mercati, rigenerando un periodo, stimato per tre anni, di recessione.
Referendum: vince il No e la Borsa vola, perché?
D’altra parte, a poco più di due giorni dall’esito del referendum, dalla netta vittoria del “no” sul “sì” alla riforma costituzionale, la Borsa di Milano non solo non crolla, ma cresce a livelli pre Brexit, chiudendo ieri con un +4,15.
Ma non è la sola. Oltre alla Borsa di Milano, chiudono in positivo la Popolare di Milano (+9,03% a 0,316 euro), il Banco Popolare (9,02%, a 2,01 euro), Intesa Sanpaolo (8,16% a 2,28 euro), Ubi Banca (9,70% a 2,26 euro) e Unicredit (12,81% a 2,27 euro). Persino il Monte dei Paschi chiude la seduta di ieri in positivo dell’1,18%. E stamani, non solo le borse italiane, ma tutte le borse europee, partono con slancio. Soprattutto l’MPS, che salta a un +9%, complice soprattutto il cda della banca di oggi pomeriggio, in cui prevarrà, scommettono i mercati, la linea dell’intervento pubblico. Anche lo spread, al ribasso, rallegra uno scenario economico già positivo, o comunque, che da un punto di vista numerico, così appare.
Ma quali possono essere i motivi di tanta euforia di mercati?
Prima di tutto, il “no” al referendum era stato profondamente preso in considerazione, visto come esito fortemente possibile. I mercati erano preparati da tempo alla vittoria del fronte negazionista e alla conseguente crisi politica. Molto importante, in questo senso, è stata la scelta adottata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha congelato le dimissioni di Renzi fino all’approvazione della legge di bilancio, prevista questo pomeriggio a Palazzo Madama. Da non sottovalutare, a detta di molti analisti, è anche la tendenza conquistata dai mercati italiani a resistere alle onde d’urto provocate da crisi politiche. Una sorta di adattamento dei mercati ad una “selezione naturale” politica, in cui l’instabilità è divenuta elemento strutturale.
Ora, al di là della vera o presunta posizione pro Renzi di Confindustria, una cosa, nell’analisi condotta dal suo centro studi, rimane certa, anche se difficile da prevedere in termini quantitativi: l’effetto di medio-lungo periodo, sul piano economico, della crisi politica italiana, inaugurata (o meglio, ri-inaugurata) dalla vittoria del “no” al referendum, cui sono conseguite le dimissioni del Presidente del Consiglio.
Perché è vero che una crisi politica è spesso conseguenza di una crisi economica. Ma è altrettanto vero che una crisi politica divenuta status quo di un paese non fa altro che rallentare, se non bloccare, la ripresa dello stesso. E non si tratta solo di ripresa economica, ma di una ripresa quanto più globale, che tocchi tutti i piani possibili, primo fra tutti, quello sociale. Una ripresa che investa la società, che deve tornare ad essere protagonista consapevole e attenta, attiva e reattiva. Perché ciò avvenga, è la politica che deve rilanciare se stessa, e tornare ad essere un positivo, ma altrettanto forte, “antagonista” dell’economia.
Camilla Ferrandi