Referendum costituzionale: 5 riflessioni sul voto

Referendum Costituzionale, No in vantaggio secondo Euromedia

Referendum costituzionale: 5 riflessioni sul voto

Nel bene e nel male il risultato relativo al referendum costituzionale ci ha regalato alcune riflessioni.

Questa analisi non vuole parlare di flussi elettorali o di chi vincerà le prossime elezioni e con quale risultato. Girano molte ipotesi sul fatto che Renzi possa intestarsi o meno quel 40% e possa farlo diventare consenso alle prossime elezioni politiche, qui si vuole parlare di altro.

Questa è una analisi delle ragioni alla base del risultato, si parla quindi degli errori, ma anche delle cose fatte bene da Renzi in questi 1000 giorni di governo. Si parla di come sia cambiata la distribuzione dinamica del consenso in questi anni.

Si parla di come siamo cambiati tutti noi, e si parla infine delle prospettive future, ma andiamo con ordine. Una delle ragioni principali della sconfitta di Renzi è stata l’ostilità di parte del Paese verso di lui. Una ostilità che sebbene abbia trovato come catalizzatori alcuni media ha radici ben più profonde.

La perdita di consenso è avvenuta a seguito di azioni politiche. Probabilmente non tanto per il jobs act quanto a causa della riforma della scuola.
La precarietà del lavoro non fa piacere, ma molti oramai si sono rassegnati all’idea perché hanno capito che il mondo va in quella direzione in modo inesorabile in ogni caso.

Difficilmente si può imputare unicamente a Renzi essendo frutto della esplosione demografica, della ineludibile saturazione delle opportunità date dalla concorrenza scatenata dalla globalizzazione.

Da questo consegue inevitabile la frustrazione delle aspettative di una intera generazione, come racconta questo bellissimo post: felicità=realtà-aspettative.
Nessuno si meravigli se le nuove generazioni sono infelici.

La riforma della scuola invece ha generato un odio tutto locale, senza precedenti, pesantemente diretto verso la figura di Renzi. Non è stata l’unica ragione ma probabilmente è stata la cosa più pesante e più articolata.
Quello che era un bacino forte di sostegno per il centrosinistra si è in gran parte rivoltato, secondo SWG il 53% degli insegnanti avrebbe comunque votato Sì, io avrei qualche dubbio su questo dato (con tutto il rispetto verso SWG) e sarei più d’accordo con Mentana e col dato secondo il quale quelli col livello di istruzione più alto (che, facciamo attenzione, non coincidono necessariamente con la parte produttiva del paese) abbiano votato maggiormente per il No.
In ogni caso pure se fosse come dice SWG si tratta di una percentuale molto bassa rispetto al passato. Berlusconi definiva le scuole superiori un “potere forte” in mano al centrosinistra; non sarà stato un potere forte in senso classico ma era certamente un grosso problema per lui, e lui gli italiani li ha capiti come nessun altro.

I rivoltosi della scuola hanno fatto da cassa di risonanza nelle classi di tutta Italia, soprattutto al sud, della affermazione Renzi=Berlusconi, anzi peggio!

Ma perché tanto odio?
Perché si è fatta una riforma che ha peggiorato la vita lavorativa quotidiana del corpo docente (che è tutto tranne che esente da colpe e non è certo il corpo più efficiente dello Stato). Qui non si parla di un singolo dettaglio, si parla di una riforma calata dall’alto in modo alquanto ideologico senza che questa fosse condivisa.

Oggettivamente gli ha reso la vita di tutti i giorni più difficile aggiungendo cose da fare talvolta completamente fini a sé stesse, una burocrazia aggiuntiva e dirigista molto spesso oltre i limiti del sopportabile.

La sensazione che verso gli insegnanti si sia fatta una riforma punitiva è forte, non per i trasferimenti (che sono una cosa sulla quale Renzi ha fatto anche bene), quanto per le procedure complicate che ha introdotto nella routine quotidiana degli insegnanti.

Si può anche essere d’accordo in linea di principio con Renzi, visto che l’istituzione scolastica, per come è stata progettata e riformata dagli anni ’60 in poi, si è rivelata totalmente inadeguata a preparare le nuove generazioni a quella che sarebbe stata l’evoluzione del progresso e della società che stiamo vivendo, ma il modo col quale è stata imposta ha colpito duro. Il ventre molle della vacca ha reagito come poteva a questa sollecitazione e il risultato si è visto.

E’ inutile dare la colpa ai sindacati, quelli oramai contano poco o nulla.
Non avevano nemmeno bisogno di fomentare, casomai si sono opportunisticamente accodati al malessere generale per mantenere un minimo di rilevanza e sopravvivere.

Insieme a queste riforme, che sono state viste come punitive, Renzi ha fatto tutta una serie di riforme “mancia”. Dopo il successo degli 80 euro ha iniziato a dare soldi qua e là senza un vero piano, pensando di “comprare” il consenso con piccole misure come queste.
Così facendo ha tradito anche la filosofia della sua base elettorale -che poi chiameremo da qui in poi i “nativi democratici”- che è ideologicamente contraria a questo genere di elargizioni, piuttosto avrebbe preferito un maggiore taglio delle tasse su chi produce. Ma questi lo hanno alla fine giustificato perché hanno considerato la cosa transitoria e necessaria alla contingenza attuale. Ho sentito molti dire: “è una schifezza ma una volta passate le riforme e fatte le nuove elezioni potrà fare davvero il suo programma”.

Il problema è che se mi dai 80 euro in più e poi mi rendi il lavoro impossibile e mi instilli la paura di perdere il posto alla lunga succede che piuttosto preferisco darteli io quegli 80 euro e vivere più tranquillo le mie giornate.
La paura e l’ansia a lungo andare non hanno compensazione economica.

Arriva un punto dove non importa quanto ti pagano, tu rifiuti, non ci stai dentro.

Questo gli ha alienato il consenso in larghi strati della popolazione. Altrimenti avrebbe avuto molte più possibilità di vittoria (non la certezza ovviamente).

A questo punto dopo aver visto il risultato della azione politica parliamo anche di come è stata comunicata.

Renzi è un comunicatore formidabile, il fatto che abbia coagulato intorno a sé ed alle sue idee una grossa fetta della parte più produttiva del Paese (attenzione non sto parlando della parte più istruita, le due cose non coincidono) ha un grande significato politico.
Un significato importante, ma non basta. Per vincere serve anche dell’altro.
E non sto parlando del mitologico “centro” che non esiste più, sto parlando di gente che non ha alcuna ideologia ma che sente sulla propria pelle ogni giorno che ogni cambiamento che avviene gli porta via una parte della propria fiducia nel futuro, e quando questi hanno visto Renzi dire in TV che le sue riforme (soprattutto il job-acts) stavano dando grandi risultati, anzi li avevano già dati, senza che questo li avesse inclusi in alcun modo, hanno avuto la sensazione che il traghetto verso il futuro di cui Renzi era il capitano era salpato e che loro erano stati lasciati soli.

Questo è stato il più grande errore di comunicazione fatto da Renzi: ha parlato del successo della sua azione al presente. Il processo andava raccontato come lungo da venire, andava detto che le cose avevano appena iniziato ad andare meglio ma che ci sarebbe stato bisogno di molto tempo, e invece è stato lì a snocciolare cifre che per gli esclusi non avevano alcun senso, facendoli sentire ancora più esclusi.

Il dato sulle città ci dice che le 100 con più occupati hanno votato in maggioranza Sì, le 100 con meno occupati sono state quelle dove il No ha vinto maggiormente. Si capisce che chi si sentiva sicuro della propria stabilità ha votato Sì, chi si sentiva più insicuro e più escluso ha votato No.

Non può essere una coincidenza.

Un altro errore grave è stato quello di stressare la narrativa della ripresa italiana con poche storie di eccellenza e di successo: il cuoco campione del mondo, l’astronauta, i campioni olimpici ecc…

La gente normale sa bene di non essere eccezionale come loro, e molti non ci si identificano affatto, né gioiscono dei successi di queste persone, anzi confrontando il proprio stato personale con quello di queste persone di successo finiscono col chiudersi in sé stesse covando sempre più rancore verso chi ce l’ha fatta. Oltretutto non frega niente a nessuno di come vota un attore famoso, uno scrittore o uno chef, quando si hanno problemi ben più grossi a cui pensare.

E non si deve dare troppo peso a quelli che sfogano il proprio risentimento sui social, non bisogna inseguire quel voto, quelli si lamenterebbero in ogni caso.

Ci siamo trovati a portare al centro della scena dei social persone portatrici di idee estremamente stupide, come la storia delle matite. Molti per deridere, ma molti per condividere.

Che ci sia una parte del popolo che si comporti in questo modo è fisiologico.
Se questa roba si estende vuol dire che il problema è molto più profondo.

Per una normale democrazia questi sono degli eccentrici bislacchi, sono un po’ come un banale raffreddore, ma se il sistema immunitario è debilitato anche un raffreddore può portare alla morte, se invece il sistema immunitario funziona bene in breve resta solo il ricordo di qualche starnuto di Piero Pelù.

Bisogna invece rassicurare quelli che provano la stessa frustrazione e si tengono tutto dentro, e che comunicano solo attraverso il voto.
L’essenza della ricerca del consenso democratico è esattamente questa: dare una prospettiva di vita dignitosa alla parte sana e potenzialmente produttiva della nazione.

Anche chi non sta bene può essere disposto ad aspettare che le cose migliorino o a sacrificarsi per un bene superiore, ma il loro consenso deve essere cercato in modo meno artificiale e più genuino.
Ma cosa si intende per genuino? Il prossimo punto lo chiarisce.

Perché stai facendo questo, quale è il tuo vero obiettivo, perché vuoi davvero fare questa cosa e non un’altra?

Renzi non aveva un perché. Rendere lo stato più efficiente non è un obiettivo ma un risultato. Che cosa ci vuoi fare con uno stato più veloce, dove ci vuoi portare?

Come dice Simon Sinek chi ispira masse, che alla fine vincono le sfide più importanti, inizia dal perché:

https://www.youtube.com/watch?v=l5Tw0PGcyN0

Quale è quindi il vero motivo? Per ambizione personale? Avere successo nella vita? Essere amato e ricordato come quello che ha fatto le riforme che gli altri non sono riusciti a fare?

Mi dispiace ma questo non basta.

Non è sufficiente.

Il perché deve essere condiviso, deve avere un orizzonte comune, deve essere qualcosa che può essere anche lontano nel tempo, che può richiedere anche dei grossi sacrifici.
Ma deve essere un perché condiviso.
Nel 1997 Prodi mise la “eurotassa” (di cui 2/3 furono restituiti poi) dando alla nazione un obiettivo comune: entrare nell’euro e agganciare una economia fluttuante e instabile come la nostra a qualcosa di grande e solido. Saremmo diventati parte importante di qualcosa di grande.

Prodi ha chiesto agli italiani di dimostrare al mondo, tutti insieme, che noi eravamo capaci di rimetterci in carreggiata.

Non è esattamente un orizzonte finale ma è già un obiettivo da raggiungere tutti insieme.

Il risultato fu ottenuto e i consensi verso quel governo erano talmente alti nella primavera del 1998 che, durante la famosa bicamerale presieduta da D’Alema, qualcuno disse a Berlusconi che era inutile che cercasse un accordo per una nuova legge elettorale perché con quel consenso il centrosinistra avrebbe vinto con qualsiasi legge.
L’ambizione personale di D’Alema e di Franco Marini (dai suoi stessi racconti) insieme all’avventurismo velleitario di Bertinotti fecero cadere Prodi rompendo quell’incantesimo e restituendo il Paese a Berlusconi.

Il “perché” di D’Alema era l’ambizione personale, essere il primo ex comunista ad essere premier, lui che non si stancava di sottolineare come fosse “figlio di un dio minore”. Non ci poteva arrivare candidandosi direttamente, e lo sapeva bene, troppi avevano capito quale fosse il suo perché e ben pochi lo avrebbero condiviso.

Quale è stato quindi l’orizzonte di lungo termine di Renzi?
Nessuno. Lui ha parlato di come rendere la macchina più veloce ma non ha mai detto esattamente dove ci vuole portare.

Quale è il senso dell’Italia nel mondo? Quale è il nostro obiettivo comune? Quale è il nostro messaggio al mondo e alla storia a parte la nostra sopravvivenza individuale?
Nessuno.
C’è stato un vago accenno alla bellezza, che però è un valore effimero o per lo meno non lo si è elevato a stile di vita, a matrice culturale, se non in parte.

Il cibo, i vestiti, le auto, il lusso, la bellezza dei paesaggi e delle opere d’arte, tutte cose lasciate alla casualità dell’eccellenza come se fosse naturale che questa eccellenza dovesse essere partorita da noi come per diritto di nascita.

Invece siamo “nani sulle spalle di giganti” e nessuno più di noi sa bene quanto questa frase sia vera.

Potremo tornare a essere giganti? Forse, ma al momento siamo così influenzati dalla cultura anglosassone a tutti i livelli che molti di noi usano più termini in inglese che in italiano al lavoro per parlare tra loro.
O meglio un inglese italianizzato piuttosto ridicolo, basti vedere la pagina del “consulente imbruttito” su Facebook.
Bisognerebbe, una volta appresa la lezione da questi paesi anglosassoni, tornare a “sciacquare i panni in Arno” per poi sederci e cercare di capire tutti insieme dove vogliamo andare come nazione, come popolo, se abbiamo ancora qualcosa da dire.

Detto questo passiamo ad una riflessione nella quale si evidenziano non solo gli errori di Renzi, ma anche alcuni meriti.

Renzi aveva detto che sarebbe arrivato a fare il Presidente del Consiglio attraverso le urne ma poi non lo ha fatto.
Perché?
Può sembrare strano ma il modo più facile per arrivare a essere premier in Italia sembra essere attraverso giochi di palazzo.
E questo deve essere stato fatto capire a Renzi quando ha accettato di mandare a casa Letta prendendone il posto, quando prima aveva detto che sarebbe passato comunque dalle urne.
La mossa della Corte Costituzionale di dichiarare incostituzionale il porcellum dopo 9 anni e ben 3 elezioni (che hanno fatto in questi 9 anni hanno dormito?) giusto dopo l’inevitabile elezione di Renzi a segretario serviva proprio a scoraggiarlo dall’andare alle urne.
La Corte in questi anni ha emesso tutta una serie di sentenze, prima contro Berlusconi e poi contro Renzi, dal fortissimo connotato ideologico, motivando le sentenze con interpretazioni larghe della costituzione (come sulle pensioni d’oro) e a volte col sapore di pretesto; sempre più persone connesse alla politica si stanno convincendo di questo.

Renzi, quindi, ha capito che non aveva scelta. Non poteva andare alle elezioni, la strada gli era stata chiusa dalla Corte in modo tempestivo.

E’ da qui che nasce la storia “lui non è stato eletto”. Per molti lui ha rubato il posto all’amico tradendolo alle spalle, il famoso #enricostaisereno è stato richiamato come un fantasma per quasi tre anni.
Per i suoi detrattori è stata la prova che il perché di Renzi, come dicevamo al punto precedente, fosse solo l’ambizione personale. E questo ha contribuito a renderlo inviso a molti.

Era difficile che riuscisse a combinare qualcosa perché il sistema di pesi e contrappesi voluto dai padri costituenti di fatto ingessa qualsiasi possibilità di governo efficiente.
La Costituzione che gli italiani hanno difeso così gelosamente è una costituzione figlia della paura.
I padri costituenti avevano una paura tremenda della volontà (diretta e non filtrata) del popolo.
Una paura incredibile, e all’epoca abbastanza giustificata, di un possibile plebiscito verso un “uomo forte”.
Qualsiasi cosa sia figlia della paura alla lunga non porta da nessuna parte, e infatti quell’impianto mostra pesantemente la corda e ci impedisce di stare al passo coi paesi più avanzati.

Era chiaramente una trappola ma lui ci è andato lo stesso dimostrando incredibilmente che poteva fare lavorare il parlamento su moltissimi temi tenuti fermi da anni (legge elettorale, unioni civili, contratti pubblici, riforme istituzionali, riforma della scuola e della pubblica amministrazione ecc…) e dimostrando di essere più difficile da neutralizzare da parte del sistema della conservazione di quanto si pensasse.

Questo è il suo principale merito e la ragione per la quale malgrado la sconfitta, che visti i punti precedenti era inevitabile, egli sia riuscito a coagulare un consenso così ampio da solo: ha dimostrato di sapere passare ai fatti, anche sbagliando qualche volta, ma facendo.
Tra chi lavora c’è il detto “solo chi non fa nulla non sbaglia” ed è questa la ragione per la quale una fetta sostanziosa della parte più produttiva del Paese è con Renzi, si tratta di una filosofia di vita molto diversa rispetto alla palude consociativa di cui parleremo nel punto finale.

Chiariamo subito che questo punto non è stato determinante per la sconfitta del Sì al referendum costituzionale. Prendersela con loro per questo significa non capire le vere ragioni della sconfitta e condannarsi ad essere sempre minoranza per le ragioni esposte nei punti precedenti.

Da parte di alcuni analisti di comunicazione politica si è fatto notare che il messaggio di Renzi avesse preso in prestito alcuni frame grillini come “la casta”, soprattutto facendo notare il taglio delle poltrone e degli enti inutili.

Questi sono temi molto cari all’elettorato di protesta, ma non hanno avuto successo, perché il voto identitario alla fine vince sempre e perché molte volte l’elettore medio è “tifoso”, ovvero detto in parole povere:
tra l’originale e la copia si sceglie sempre l’originale.

Questa scelta comunicativa però non è frutto di un caso, Renzi ha scelto questa strada per cercare un consenso che lo portasse al 50%, perché l’altra strada era decisamente più sbarrata e impraticabile. Potremmo dire assolutamente incompatibile alla radice con la filosofia dei cambiamenti da lui proposti.

Questo referendum ha chiarito un equivoco molto importante che è maturato nel corso degli ultimi due decenni. Sin dalla discesa in campo di Prodi si è creato piano piano un nuovo nucleo nel centrosinistra molto lontano dalle logiche post-DC e post-PCI, i cosiddetti “nativi democratici”. Quel nucleo ha trovato la sua piena legittimazione nel 2007 con la creazione del PD (molto osteggiata da personaggi come D’Alema, ostile alla fine degli anni ’90 persino all’idea di chiamare la coalizione “centrosinistra” anziché “centro-sinistra”, chissà se qualcuno ricorda la polemica sul trattino) e la differenza ideologica – forse addirittura antropologica – tra quelli che si riconoscevano nella ditta e i nativi democratici è esplosa in modo probabilmente quasi insanabile nel 2012, con l’arrivo del primo vero leader dei nativi democratici: Renzi.

A questo si aggiungono opportunismi e personalismi che da sempre affliggono la sinistra, e Barca ne ha parlato proprio in questi giorni dichiarando le ragioni del suo Sì.

La minoranza PD e la sinistra radicale hanno fatto in gran parte campagna contro con lo scopo di cacciare l’usurpatore degli ideali di sinistra (qualunque essi siano), per “farlo fuori ma senza farlo fuori troppo” (un bizantinismo che solo se siete malati di politica e di sinistra potrete capire).
Ci fosse stata una sconfitta sul filo di lana questi avrebbero portato la responsabilità di aver tramato contro il loro stesso partito dopo aver votato sì alle riforme nella sede opportuna, ovvero il parlamento.

Ma oggettivamente avranno spostato pochissimo e non saranno loro a guadagnarci da questo voto.

Molti della ditta credono di potersi intestare il risultato referendario definendosi vincitori, e questo fa venire in mente la famosa scena de “il buono il brutto e il cattivo”, quando un cacciatore di teste (Bersani) cattura Tuco (Renzi) e dice “ehi tu! Lo sai che la tua faccia somiglia a quella di uno che vale 2000$?”, a quel punto alle sue spalle spunta il biondo (Grillo) che gli dice “già, ma tu non somigli a quello che li incassa”.

Chiusa questa parentesi è chiaro che le ragioni della sconfitta sono da cercare altrove.

Diciamola la verità: la vittoria il Sì non se la è meritata sul campo. Senza se e senza ma.
Prendersela con queste persone qui può essere la prima comprensibile reazione a caldo, ma poi bisogna guardarsi allo specchio e capire che chi ha giocato la partita del Sì non meritava di vincere la coppa.
E’ sceso in campo preparando male la partita pensando solo al possesso palla e ai dribbling e poco alla concretezza che avrebbe fatto gioire l’intera nazione con la propria vittoria.

Non resta che guardare verso il futuro, e il punto cruciale al momento è questo: il PD renziano dei nativi democratici non ha avuto il supporto della ditta (malgrado i nativi democratici siano stati fedeli al PD nella campagna elettorale del 2013 quando Renzi condivideva il palco con Bersani sostenendolo), quale supporto ci si può aspettare dai nativi democratici alla ditta qualora tornasse un Bersani o un suo surrogato al timone del PD?
Questa è la domanda da porsi: possono ancora stare insieme questi due gruppi?
La politica ci ha sempre riservato grandi sorprese, ma allo stato attuale è difficile crederlo.

E’ necessario quindi un chiarimento all’interno del PD per capire quale è in questo momento l’anima che prevale, per poi separarsi, preparandosi anche ad elezioni nelle quali il PD potrà fare opposizione, se non sarà capace di dare una buona ragione alla maggioranza degli italiani per votarlo.

In questo coloro che sono vicini alla ditta, e che molto spesso rivendicano con orgoglio una certa nostalgia della “palude consociativa” della prima repubblica, non saranno assolutamente d’accordo.
La scelta di Bersani del novembre 2011, di sostenere Monti anziché chiedere elezioni subito, si è rivelata fatale per le ambizioni del PD per il governo del paese, ma Bersani l’avrebbe fatta comunque perché non è stata dettata da una contingenza storica, bensì da una filosofia di governo, da una ideologia politica, da un modo di pensare, che è il vero tratto comune di chi si riconosce nella ditta.

La ditta sceglierebbe di andare nel fuoco e farsi rosolare per un altro anno, i nativi democratici invece hanno una filosofia di vita differente e non accetterebbero facilmente una riedizione del governo Monti o qualcosa di simile, fosse anche un governo Padoan e cercherebbero un altro partito da votare se tornasse in vigore la ditta.

La distanza tra i due gruppi quindi in questo momento è abissale e nei prossimi mesi non potrà che aumentare ulteriormente.
Se si fa un governo tecnico e i bersaniani riprendono il controllo del PD il grosso dei nativi democratici quasi certamente andrà per un’altra strada.
Se si va alle urne e Renzi resta al timone facendo un repulisti del fronte del no interno succederà l’opposto.

Chi non vuole andare alle urne si farà forte del fatto che i parlamentari vorranno maturare la pensione e che cercheranno di tirare a campare almeno fino a settembre 2017 raccontando che devono fare la legge elettorale e tante altre belle cose.
Ovviamente le possibilità che riescano a mettersi d’accordo tutti sono pochissime, perché non c’è una maggioranza per nessuna nuova legge elettorale, e chiunque ci provasse si troverebbe sotto il fuoco delle opposizioni di Lega e M5S. Un film già visto nel 2012, che ha portato il risultato del 2013 che conosciamo, questa volta probabilmente amplificato.

Abbiamo già visto che i previsti crolli della borsa e delle banche, per ora, non ci sono stati. Non bisogna avere paura quindi.
Così come avevano ragione i sostenitori del No rigettando questa ipotesi catastrofica, è altrettanto vuota la stessa minaccia, a parti invertite, per costringere Renzi ad accettare un governo tecnico che vivacchi un anno per permettere ai parlamentari di maturare la pensione (che è la loro vera ragione per fare melina, figuriamoci cosa se ne importano della legge elettorale).