Turchia: i risvolti politici dell’ultimo attentato
Il 10 dicembre un duplice attentato dinamitardo nel cuore di Istanbul ha causato 41 morti e 155 feriti. Le enormi esplosioni sono avvenute intorno alle 22:20, circa 90 minuti dopo una partita tra Beşiktaş e Bursaspor. La prima esplosione è avvenuta nei pressi dello stadio del Beşiktaş Vodafone Arena, pochi minuti dopo che alcuni fan avevano lasciato l’impianto dopo la partita, e le esplosioni si sono sentite su entrambi i lati del Bosforo.
Turchia: i risvolti politici dell’ultimo attentato
La prima esplosione è partita da una macchina in movimento che ha puntato direttamente la polizia antisommossa nei pressi dello stadio, mentre la seconda esplosione è avvenuta 45 secondi dopo la prima, quando un attentatore suicida ha fatto esplodere una bomba al Parco di Maçka, proprio di fronte lo stadio. Un’azione rivolta apparentemente contro le forze dell’ordine, dato che almeno 30 delle vittime dell’attentato erano poliziotti, mentre sette civili. Lo stesso Primo Ministro Binali Yıldırım ha espresso le condoglianze alle famiglie dei poliziotti uccisi, non ai civili. Anche il Vice Primo Ministro Numan Kurtulmuş ha detto che “tutte le frecce indicano come autore il Pkk”.
Sono stati arrestati tredici sospetti in relazione all’attacco, e sotto la dichiarazione di Erdoğan “Diamo l’estremo saluto ai nostri martiri”, sono stati fatti funerali di Stato per le vittime, alla presenza del Presidente della Repubblica e di tutti i ministri. Freddi numeri, risultato di un’azione fredda, così come le altre azioni terroristiche che lo hanno preceduto nell’ultimo anno e mezzo. L’attentato sembra sia stato rivendicato dai Falchi per la Libertà del Kurdistan, o Tak (Teyrêbazên Azadiya Kurdistan, o in Turco Kürdistan Özgürlük Şahinleri), costola apparentemente separatasi dal Pkk. Il gruppo avrebbe dichiarato che questa, come tutte le azioni compiute dal 2015 (una su tutte l’attentato al centro di Ankara del 13 marzo 2016), siano state compiute in risposta alle azioni militari nel sud-est del paese.
Dal luglio 2015 infatti, la Turchia è stata colpita da 13 attentati terroristici che hanno causato 275 vittime tra civili e forze di sicurezza, rivendicati in alcuni casi dallo Stato islamico (IS), altre volte attribuiti dal Governo di Ankara al Pkk (Partîya Karkerên Kurdîstan, Partito dei Lavoratori del Kurdistan) con matematica certezza. Inoltre il giorno seguente l’attentato sono state devastate dalle forze dell’ordine 6 sedi e arrestati 118 membri del partito d’opposizione curdo Hdp (Halkların Demokratik Partisi, Partito Democratico dei Popoli), i cui deputati lo scorso maggio erano stati privati dell’immunità parlamentare in seguito a una mozione approvata a maggioranza dall’Akp (Adalet ve Kalkınma Partisi, Partito Giustiza e Sviluppo) e dal Mhp (Milliyetçi Hareket Partisi, Partito del Movimento nazionalista).
Di questo clima di violenza Salahattin Demirtaş, vicepresidente dell’Hdp in carcere da novembre, ha da sempre accusato della situazione da guerra civile il presidente Erdoğan e le sue politiche di odio. In Turchia si sta assistendo dunque a quella che è solo l’ultima fase della rinnovata radicalizzazione del conflitto con i curdi, e non solo con il Pkk, e gli attentati che da qualche anno scuotono la Turchia, e sembrano giustificare un sempre maggiore uso del pugno di ferro da parte dello Stato a guida Akp, e del suo Presidente Recep Tayyip Erdoğan, tanto all’interno del Paese quanto nei teatri di guerra in Siria e in Iraq.
Nell’ultimo anno e mezzo, in seguito alla fine del cessate il fuoco unilaterale dichiarato dal Pkk nel luglio 2015, in diverse province del paese è stato dichiarato il coprifuoco, e dispiegate quindi forze regolari per portare a termine azioni militari antiterrorismo. Con l’entrata della Turchia nella coalizione anti-IS lo scorso agosto, in altri attribuiti a gruppi radicali curdi in risposta ai bombardamenti del governo nelle regioni curde sul lunghissimo confine con la Siria, l’Iraq e l’Iran (fino ai Monti Qandil). I distretti di Mardin (Nusaybin), Hakkâri (Yüksekova), e İdil (Şırnak) oltre che alla stessa Sur (Diyarbakır) e a Cizre (Şırnak) sul confine siriano sono stati letteralmente rasi al suolo, con decine di migliaia di sfollati interni “evacuati” dalle Forze armate.
Lo stesso Pyd siriano (Partiya Yekîtiya Demokrat), insieme con lo Ypg-G (Yekîneyên Parastina Gel, Unità di protezione del Popolo), principale nemico dello Stato islamico, è stato più volte dal presidente definito non diverso dal Pkk, di cui sarebbe un ramo, e, in qualità di nemico strategico della Turchia, viene combattuto nel corso dell’Operazione Scudo dell’Eufrate (Fırat kalkanı), iniziata il 24 agosto 2016 ed estesa all’offensiva di Aleppo con la Battaglia di al-Bab sull’Asse Manbij-Al-Bab-Aleppo, in corso da novembre, in funzione anti-IS, anti Ypg (annientamento della Comune curda del Rojava), e anti-Assad.
Inoltre, simbolicamente l’attentato è avvenuto il giorno in cui veniva sottoposta al Parlamento la riforma costituzionale tanto agognata dal presidente Erdoğan, per fare della Turchia una repubblica presidenziale. Eliminando la carica del primo ministro, il presidente con due vice, avrà poteri politici dell’esecutivo sempre più grandi, potendo anche intervenire in modo più diretto nella stessa vita quotidiana dei cittadini attraverso politiche di educazione ai valori “tradizionali”. La riforma per passare deve ottenere i due terzi dei voti e poi essere sottoposta al voto referendario, e l’Akp, con i suoi 316 deputati può fare affidamento su altri 40 dell’alleato Mhp, superando così i 330 voti necessari. Se il colpo di stato del 15 luglio ha fatto sì che potessero venire eliminati gli ultimi rimasugli dell’impero del vecchio alleato, e ormai nemico No. 1, Fethullah Gülen, del suo Movimento (Hizmet) e della cosiddetta Organizzazione terroristica da lui diretta (FETÖ, Fethullahçı Terör Örgütü), sempre a dire delle autorità turche, responsabile del colpo di stato, con questo nuovo attentato Erdoğan potrà estromettere dal parlamento lo Hdp scaricando su di lui le responsabilità della “Galassia del Pkk”.
Inoltre, con l’entrata in guerra contro Assad (e contro i Curdi) la Turchia sta sconvolgendo il tradizionale assetto geopolitico regionale, dove per decenni questa non aveva giocato altro che il ruolo esclusivo di “mastino della NATO” contro l’URSS (e ora contro la Russia di Putin). Erdoğan vorrebbe quindi divenire una sorta di “timoniere” della Nuova Turchia che ha creato in questi 15 anni al potere, barcamenandosi tra un ingresso nella Shanghai Cooperation Organization (SCO) e un partenariato ricattatorio con l’UE.