Petrolio: la genesi e le incognite dell’accordo di Vienna
Petrolio: la genesi e le incognite di un accordo
Quello raggiunto il 10 dicembre a Vienna è certamente un accordo importante per le sorti dell’economia globale. L’assise della capitale austriaca ha riunito ad un tavolo di confronto le principali potenze internazionali produttrici di petrolio, afferenti al grande cartello Opec di controllo del mercato, e undici nazioni esterne tra cui la Russia. Conseguenza di tale dialettica è stata la formalizzazione di una scaletta d’intenti specifica che vedrà, nei prossimi anni, un progressivo taglio delle produzioni al fine di equilibrare domanda e offerta di un prezzo di listino divenuto, nel tempo della crisi, troppo basso per la salute di imprese ed estrattori.
Petrolio: i numeri dell’intesa
I Paesi della lega mediorientale hanno messo sul piatto un taglio da 1,2 milioni di barili al giorno (mbg). Contestualmente, le undici nazioni esterne alla confederazione hanno promesso una riduzione estrattiva significativa, seppur inferiore per quota di mercato: 558mila barili al giorno. La partecipazione accorata di importanti produttori ed investitori istituzionali di petrolio, Arabia Saudita su tutti, nonché di influenti attori dello sfruttamento e dell’esportazione dell’energia fossile e di gas metano, leggasi Russia e Messico, sottolinea l’insufficienza di una politica economica e di gestione della materia prima.
La strategia del mantenimento delle medio-alte produzioni di greggio, insieme al cambio favorevole dell’euro sul dollaro ed all’acquisto dei titoli di Stato da parte della Banca centrale europea, ha contribuito al sostanziale livellamento dei prezzi e dei tassi di interesse. Tale dinamica ha altresì decretato la chiusura di moltissime aziende e la recessione di alcuni dei principali esportatori. Ciò nonostante, per l’economia del settore energetico, il tanto sperato effetto-panacea per la ripresa della domanda non ha avuto luogo.
Se tutto quello che è stato stabilito sabato a Vienna dovesse davvero verificarsi e se le parti in causa dovessero rispettare in armonia le scelte fatte, per il prossimo anno, l’offerta mondiale di petrolio scenderebbe del 2 per cento. Tuttavia le incognite legate al rispetto delle prerogative annunciate non sono poche.
Petrolio: dalle parole ai fatti
I precedenti tentativi di accordo purtroppo non depongono a favore dell’intesa appena raggiunta. Nella storia recente i comportamenti dei produttori non sono stati coerenti alle intenzioni palesate, sovente hanno invece cercato soltanto alcune contingenti speculazioni d’investimento. Emblematico è il caso della Russia. Nel 2008 l’Opec propose un taglio produttivo che coinvolgesse, in qualità di nazione collaterale, Mosca nella riduzione delle proprie riserve per almeno 400mila barili al giorno. Alle parole non seguirono i fatti. Il Cremlino non rivide la sua produzione di una virgola nonostante avesse, a parole, caldeggiato la risoluzione.
Le estrazioni concernenti il mese di novembre, da parte del gigante dell’Est, sono state pari ad 11,21 milioni di barili al giorno. Un volume che ricorda i ritmi pianificati dell’Urss. Il surplus di petrolio che secondo gli accordi non andrà a foraggiare il mercato già saturo, dovrà essere rimborsato e gli utili delle compagnie private risarciti al netto del peggioramento del debito pubblico. Anche Messico e Azerbaijan potrebbero rimodulare i prezzi strada facendo e inoltre ancor più ambigua potrebbe essere la situazione del Kazakistan, tra i Paesi firmatari dei programmi austriaci, il quale ha da poco avviato i protocolli per lo sfruttamento del gigante giacimento di Kashagan.
Riccardo Piazza