Disoccupazione, a Est non è un problema, le imprese non trovano lavoratori

disoccupazione, curve colorate in due diversi riquadri

Disoccupazione, a Est non è un problema, le imprese non trovano lavoratori

Sono meno di 1000 km, un’ora di aereo low cost, ma sembra un altro mondo.

Stiamo parlando dell’Europa dell’Est, di quei Paesi un volta comunisti che oggi stanno correndo di gran carriera verso i livelli di benessere una volta appannaggio solo dell’Ovest ricco.

In particolare si tratta di quell’insieme di Paesi che all’interno del gruppo eterogeneo di Stati dell’Est fanno ancora meglio della media, ovvero i Paesi Baltici, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l’Ungheria. Romania, Bulgaria e i Balcani seppure segnino grossi progressi nella crescita del PIL sono decisamente più arretrati sotto diversi punti di vista, ma seguono sotto molti aspetti i trend degli altri Stati.

Non conta solo il PIL, comunque, è dal mercato del lavoro che vengono i segnali che un’Europa vitale e che ha fiducia nel futuro c’è ancora.

Disoccupazione addio, tassi di occupazione tra il 60% e il 70% ovunque a Est, l’Italia al 57%

Un primo evidente segno di successo di queste economie viene dall’osservazione dei tassi di occupazione che stanno superando quelli di alcuni Paesi occidentali, per esempio di Spagna, Grecia, Italia.

Lo si vede nel grafico a destra. La Repubblica Ceca ha superato il 70%, come la vicina Germania, cui del resto è legatisima. L’Ungheria dal 2011 a oggi è passata da livelli italiani al 66% circa di tasso d’occupazione, Slovacchia, Polonia, Bulgaria sono poco sotto.

Ma è il grafico a sinistra quello più interessante, quello che indica, in una ricerca del BMI Group sull’Europa emergente, i posti vacanti in ogni Paese. Ebbene. questi sono triplicati in Repubblica Ceca, raddoppiati in Polonia, cresciuti in modo deciso in Ungheria e Romania.

 

D’altro canto la disoccupazione, in Repubblica Ceca al 6,2%, è a livelli così bassi che si può parlare di piena occupazione, e il calo demografico, avvenuto ovunque, ma in particolare in Romania e Bulgaria, riduce decisamente il numero di lavoratori, in particolare giovani.

E così il numero di imprese che indica come fattore critico la carenza di manodopera come un fattore limitante decolla, come si vede dal seguente grafico, in particolare in Ungheria, dove sono il 70% degli imprenditori a vedere questo problema, ma anche di Bulgaria, Repubblica Ceca, Polonia.

Anche l’Economist conferma queste statistiche mettendo i Paesi dell’Est subito dopo la Germania nell’elenco di Paesi in cui i migranti potrebbero ricoprire delle posizioni per cui non si trovano candidati. L’Ungheria anzi supera anche il Paese di Angela Merkel in questa speciale classifica. A destra vediamo il declino demografico di moltissimi Stati, faattore che aggrava questo problema.

In effetti si sta arrivando a saturazione, il tasso di partecipazione al lavoro, ovvero l’insieme di quanti hanno un lavoro o lo cercano è ai massimi, e oltre il 65%, con punte del 75%. Di fatto a rimanere inattivi sono solo poche casalinghe, giovani che stanno completando gli studi e i disabili.

Disoccupazione quasi inesistente a Est, e salari in netta crescita

Gli immigrati, che tipicamente nella storia si sono sempre mossi verso quei Paesi che si ritrovavano in queste condizioni, non sono però ben visti in questo angolo d’Europa. Non vengono accettati neppure i ricollocamenti di quelli sbarcati in Italia e Grecia, e vengono costruiti muri.

Al di là delle motivazioni ideologiche o razziste, molto probabilmente c’è il timore che il loro arrivo freni l’aumento dei salari che come ovvio questa carenza di lavoratori sta provocando. E che è accelerata con il calo della disoccupazione dopo la crisi, come vediamo sotto, a destra l’aumento dei salari, anche del 40% dal 2010, e a sinistra la diminuzione del tasso di disoccupazione.

Anche se ormai nelle aree urbane come Praga o Budapest per alcuni settori dei servizi avanzati gli stipendi hanno raggiunto i livelli di quelli italiani e spagnoli, in media, soprattutto nell’ambito manifatturiero industriale, molto importante qui dove diverse imprese dell’Ovest hanno delocalizzato, i salari rimangono molto più bassi che in Francia, Germania, Italia, e attireranno ancora a lungo investimenti.

Qui vediamo il costo orario di un dipendente nei diversi Paesi europei secondo Eurostat.

Polonia, Ungheria, Slovacchia, anche se in grane sviluppo hanno ancora costi uguali o inferiore ai 10€ all’ora, anche per le tasse sul lavoro minori.

Sono 28€ all’ora in Italia, 21€ in Spagna. Anche Grecia e Portogallo nonostante tutto rimangono più care.

E così il risultato è che oggi in Slovacchia il 13% delle imprese sta aumentando il personale, e solo il 6% lo sta contraendo. E il 45% degli imprenditori nel 2016 pensa che ci sia un problema di carenza di lavoratori, erano solo il 10% nel 2013.

Quando sentiamo dire che in tutto il mondo c’è una crisi epocale e strutturale dell’economia evidentemente chi sta parlando si dimentica di un piccolo pezzo del nostro pianeta, finora poco noto, ma che si farà senz’altro sentire e notare di più nei prossimi anni.