Mattarellum: i pregi e i difetti del sistema elettorale spiegati bene
Mattarellum: i pregi e i difetti del sistema elettorale spiegati bene
Il Mattarellum rientra a pieno titolo nella categoria dei sistemi elettorali misti, ossia quelli che uniscono elementi del maggioritario e del proporzionale. Approvato nel 1993 e sostituito poi dal Porcellum, il sistema si basa su due punti cardine: la parte maggioritaria del sistema pesa di più rispetto a quella proporzionale, e inoltre le due componenti non sono parallele bensì collegate tra loro.
Mattarellum: i pregi e i difetti spiegati bene
Per quanto concerne il primo aspetto, il maggioritario prevale in quanto il 75% dei seggi in palio in entrambe le camere è assegnato in altrettanti collegi uninominali. Il restante 25% compete alla parte proporzionale la quale, tuttavia, presenta un computo diverso nei due rami del Parlamento, e questo ci permette di ricollegarci al secondo aspetto prima accennato: il legame fra le componenti. Infatti, il principio generale è che ci sia un riequilibrio a favore di quelle forze politiche che abbiano conquistato, nel maggioritario, solo pochi seggi o addirittura nessuno.
Per quanto riguarda la parte proporzionale, tra Camera e Senato sussistono due differenze molto importanti, come si evince dalle schede elettorali: nel primo caso l’elettore ha due schede a disposizione, mentre una sola nel secondo. Quindi per la Camera l’elettore vota con due schede diverse: una per il maggioritario e l’altra per il proporzionale. Nel primo caso il voto è al candidato, mentre nel secondo è alla lista. In quest’ultima situazione, le liste ammesse al riparto nelle 26 circoscrizioni plurinominali devono raggiungere almeno il 4% a livello nazionale, e non è possibile esprimere alcun voto di preferenza. Al Senato, eletto su base regionale, vi è invece una sola scheda: il voto espresso per il candidato è computato sia nell’uninominale sia nel recupero proporzionale.
Avere due schede per votare alla Camera è un aspetto decisamente importante per diversi fattori, in primis per quanto attiene lo scorporo. Infatti, per compensare gli effetti dei collegi uninominali, alle liste della parte proporzionale sono sottratti tanti voti quanti sono quelli già “usati” per vincere nei collegi, ossia i voti del candidato arrivato secondo addizionati di un’unità. E, ad ogni modo, lo scorporo non può essere inferiore al 25% dei voti espressi nel collegio (lo scorporo è totale se il candidato arrivato primo ha raccolto meno di quella percentuale).
Nel caso in cui il candidato nell’uninominale sia collegato a più liste nel proporzionale, lo scorporo è pro-quota e calcolato in proporzione al peso elettorale di ciascuna di esse. Qui, i tecnicismi contano davvero molto poiché, come avvenuto nelle tre elezioni in cui si impiegò il Mattarellum (1994, 1996 e 2001), le coalizioni fecero ricorso alle “liste civetta”, ossia liste fittizie a cui collegare i candidati dell’uninominale in modo che lo scorporo andasse a riversarsi proprio su queste. Di conseguenza l’effetto compensativo fu quasi completamente annullato.
Al Senato, diversamente, lo scorporo non è aggirabile: l’elettore può esprimere un solo voto, rivolto al candidato prescelto, e tutti i consensi raccolti dai candidati vincenti nel maggioritario sono sottratti al totale dei voti raccolti da tutti i candidati appartenenti al medesimo gruppo politico (cioè, il partito o la coalizione di appartenenza). Si determina così la cifra regionale di ciascuno gruppo per il riparto proporzionale. I seggi sono infine attribuiti ai gruppi con la formula D’Hondt e, all’interno di essi, saranno assegnati ai candidati (pur sconfitti nell’uninominale) con il maggior numero di voti.
Alcuni meriti del Mattarellum sono riconosciuti dai più: collegamento dei candidati al territorio (a patto di evitare le candidature multiple), principio di governabilità temperato con il principio di rappresentatività, coalizioni stabilite prima delle elezioni e potenziale alternanza al governo.
Tuttavia, il Mattarellum ha una logica duale: quella maggioritaria che spinge a creare coalizioni per vincere nei collegi, e quella proporzionale dove ogni partito si presenta con il proprio simbolo nelle elezioni per la Camera. Qui, nulla vieta all’elettore di votare in maniera disgiunta, ad esempio un partito nel proporzionale e una coalizione nel maggioritario a cui, tuttavia, non appartenga il primo. E un’insidia sta proprio nelle coalizioni (alias cartelli elettorali) per la parte maggioritaria, dove spesso i partiti maggiori devono scendere a compromessi con formazioni anche molto piccole, in quanto ogni voto può essere decisivo per la vittoria/sconfitta nel collegio. Con un significativo corollario negativo: dopo le elezioni, le coalizioni si potrebbero dividere in Aula secondo le linee partitiche, con il paradosso che proprio il maggioritario andrebbe a favorire la frammentazione e, di lì, l’instabilità dei governi.