La vicenda Mose pone al centro della scena politica nazionale alcune dinamiche locali legate all’amministrazione della città di Venezia. Dal punto di vista strettamente politico la città lagunare è sempre stato un caso anomalo della politica italiana. E questo per due ordini di motivi:
-In primo luogo perché Venezia, pur essendo una delle città più importanti d’Italia e del mondo, rispetto alle sue “colleghe” città d’arte italiane è sempre stata politicamente quella più debole. Questo in primo luogo per la sua “conformazione urbanistica” che non gli consente di ospitare più di un certo numero di abitanti. Da qui il caso di Mestre, “l’hinterland” lagunare che comprende una popolazione superiore a quella del capoluogo di regione stesso.
-In secondo luogo perché è sempre stata politicamente una città che rispetto al Veneto ha assunto come predominanti delle culture politiche quasi sempre estranee rispetto a quelle del resto della regione. Per certi verso potremo dire che mentre le varie Padova, Treviso, Verona e Vicenza seguono dei percorsi politici non identici ma per certi versi dalle linee guida analoghe, Venezia si trova ad essere una sorta di isola in cui la patente di capoluogo di regione sembra quasi esser stata concessa da honorem (essendo il luogo magico) anziché per veri motivi di guida amministrativa.
La vicenda del Mose in questo senso è quanto mai emblematica. Partendo dal presupposto che tutti gli interessati sono innocenti fino all’ultimo grado di giudizio, la dinamica di un finanziamento alla campagna elettorale di Orsoni da parte del Consorzio Venezia Nuova difficilmente potrebbe riproporsi in altre città della regione (anche se l’effetto Renzi sembra poter scardinare questa teoria, come testimonia la vittoria di Giovanni Manildo nella “verde” Treviso). Dal 1993 (anno delle storiche vittorie del centrosinistra alle amministrative, con Massimo Cacciari vincente a Venezia) la città lagunare difficilmente ha consentito al leghismo imperante nella regione di emergere come seria forza di governo cittadino.
Una dinamica che senz’altro si spiega con la differenza tra città e campagne, ma non in maniera del tutto esauriente. Il centrosinistra, da quando è iniziata la cosiddetta Seconda Repubblica, ha sempre governato la città: prima col professor Cacciari, poi con Paolo Costa che da Parlamentare Europeo svolse un lavoro egregio (come ebbe a notare la stampa anglosassone), poi di nuovo da Cacciari e infine dal Giorgio Orsoni già assessore di Costa. Alle elezioni comunali del 2005 il centrosinistra corse in ordine sparso per motivi di ordine metodologico: la candidatura del Ds Casson, sostenuta, da tutto il centrosinistra compresa la forte componente Verde di Bettin, non fu deliberata assieme a tutto il centrosinistra cittadino. Cosa che portò per reazione alla candidatura di Cacciari. Si delineò un quadro non solo anomalo dal punto di vista regionale, ma addirittura dal punto di vista nazionale. In cui Casson (sostenuto da tutto il centrosinistra) arrivò al ballottaggio con l’altro esponente del centrosinistra Cacciari (sostenuto da Dl e Udeur). Un ballottaggio tra due differenti visioni del centrosinistra che relegò la destra e la Lega Nord ad elementi marginali del sistema.
Uno sprazzo di riscossa ci fu alle provinciali del 2009 quando Davide Zoggia (poi promosso da Bersani in segreteria nazionale) perse contro la leghista Zaccariotto. Ma era il periodo del leghismo imperante in cui alle elezioni europee il Carroccio superava il 10%. Alle comunali però difficilmente c’è mai stata partita: nonostante Orsoni parli di “pressioni da parte del partito locale per ottenere finanziamenti” in quanto terrorizzati dalla candidatura a sindaco del ministro Renato Brunetta, che il centrosinistra avrebbe vinto quelle comunali era evidente sin dal giorno prima quando si tenne lo scrutinio per le elezioni regionali del 2010 in cui il candidato del centrosinistra Giuseppe Bortolussi vinse in città nonostante il magro 29% ottenuto a livello regionale. Una dinamica di questo tipo, un partito che ottiene finanziamenti (in quanto l’imprenditore, a quanto pare, sa che vincerà) e anche lo spirito che spinge parte del politico locale a fare pressioni per ottenere questo tipo di finanziamento è più una dinamica da regione “a subcultura rossa” (come direbbe Ilvio Diamanti) che da “profondo Veneto”. Anche perché denota la presenza di un partito, o di una forma di apparato, in grado di indirizzare o prendere determinate decisioni.
Difficilmente una vicenda come quella del Mose potrebbe delinearsi a Padova (dove Massimo Bitonci ha dato vita ad un capolavoro politico rimontando e sconfiggendo il reggente Ivo Rossi) o a Verona. Il voto europeo ed amministrativo di quest’anno per certi versi è il più post-ideologico della storia: stop alle rendite di posizione, i cittadini scelgono con la propria testa il candidato più convincente. Dove la sinistra non cambia e dove si nascondo grumi di conservatorismo (Perugia, Urbino e Livorno) il centrosinistra perde. Dove invece emerge quasi sempre il dibattito nazionale su quello locale (in quanto non esiste un vero e proprio apparato locale, come a Bergamo e Pavia) il centrosinistra vince. Perché vince Renzi. Ecco perché alle prossime elezioni comunali Venezia potrebbe pure cadere. Indipendentemente dagli scandali. Perché, è proprio il caso dirlo, è cambiata la politica.