Voucher: Governo alle prese con il Jobs Act prima della Consulta

Pubblicato il 27 Dicembre 2016 alle 14:15 Autore: Camilla Ferrandi
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Voucher: Governo alle prese con il Jobs Act prima della Consulta

L’11 gennaio si avvicina. La decisione della Consulta sui tre quesiti referendari promossi dalla CGIL, che che hanno come bersaglio alcune parti del Jobs Act (cancellazione dell’articolo 18 dallo Statuto dei lavoratori, liberalizzazione degli appalti , introduzione dei voucher), fa ragionare Palazzo Chigi. Come preannunciato dal Ministro del Lavoro Poletti a metà dicembre, il Jobs Act può essere rivisto almeno nella parte riguardante i voucher, soggetto del quesito referendario percepito come il più ammissibile da parte della Corte Costituzionale.

Voucher: Governo alle prese con il Jobs Act prima della Consulta

Nati al fine di limitare il lavoro a nero, i ticket da dieci euro lordi sono divenuti la regola per pagare una vasta gamma di prestazioni lavorative, e non solo occasionali. “I numeri sono abnormi e dimostrano che c’è stato un abuso”, spiega Maurizio Del Conte, Presidente dell’Agenzia nazionale per il lavoro, “e – continua – il legislatore deve avere la coscienza di tornare sui suoi passi quando si accorge che gli effetti sono opposti a quelli previsti”.

I buoni lavoro (voucher) sono stati introdotti nel 2003 dal decreto legislativo n. 276 al fine di regolare le attività lavorative di tipo accessorio e di natura occasionale. Rimasti inapplicati fino al 2008, con il decreto del 12 marzo dello stesso anno il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale disponeva, a partire dal mese di agosto, la sperimentazione delle prestazioni occasionali di tipo accessorio nel settore delle vendemmie. I voucher venduti da agosto a dicembre 2008 erano circa mezzo milione. Nel 2011 si raggiungevano i 15 milioni, nel 2015 i 115. Nel 2016, facendo una stima sulla base degli ultimi dati disponibili INPS, si prevede il raggiungimento di 160 milioni. Ovviamente, con l’aumento della vendita dei voucher, sono cresciuti contemporaneamente anche il numero dei committenti (472.000 nel 2015) e il numero dei lavoratori coinvolti (1,4 ml. nel medesimo anno).

Ma come mai l’utilizzo dei voucher è aumentato così vertiginosamente? Osservando il quadro normativo, una scossa a tale strumento è stata data a partire dalle leggi n. 92 (c.d. “Riforma Fornero” del mercato del lavoro) e n. 134 del 2012, che hanno, di fatto, liberalizzato l’utilizzo dei buoni lavoro per quanto riguarda gli ambiti soggettivi (soggetti che possono prestare la propria attività) ed oggettivi (settore del lavoro). Veniva invece ristretto, rispetto al 2008, il limite economico netto, che rimaneva di 5.000 euro netti all’anno, ma da determinare in relazione alla pluralità di committenti e non più singolarmente.

È stato poi il decreto legge n. 76 del 28 giugno 2013, convertito nella legge n. 99 del 9 agosto 2013, a modificare profondamente la natura stessa delle prestazioni lavorative, eliminando le parole “di natura meramente occasionale” dalla nuova norma. Pertanto le prestazioni di lavoro accessorio risultavano oramai definite solamente dal rispetto dei limiti economici e non anche dal loro carattere occasionale e saltuario. Infine, con il decreto legislativo n. 81 del 2015 (“Riordino dei contratti di lavoro” – Jobs Act) si è innalzato il limite economico netto di 5.000 euro a 7.000 euro.

Negli anni sono anche aumentati i canali di distribuzione dei voucher. Nel 2008 erano solo due: la procedura telematica e l’acquisto dei voucher cartacei presso le sedi provinciali Inps. Nel 2010 si aggiungevano i tabaccai, nel 2011 le Banche Popolari, nel 2012 gli uffici postali. Al fine di migliorare la tracciabilità, nel 2014 diveniva obbligatoria l’attivazione telematica preventiva dei voucher e, con il decreto legislativo n. 81 del 2015, veniva introdotto l’obbligo, per i committenti imprenditori, dell’attivazione telematica preventiva dei voucher.

A chi chiede l’abolizione dei buoni lavoro, Maurizio Del Conte risponde che eliminarli del tutto sarebbe un errore, visto che verrebbe meno anche uno dei loro maggiori meriti, ovvero far emergere prestazioni che prima venivano fatte solo in nero. Ma, nonostante questo, è lo stesso Presidente dell’Agenzia nazionale per il lavoro ad affermare che andrebbe riformato il loro utilizzo. A suo avviso, sarebbe opportuno restringere gli ambiti oggettivi dell’impiego dei voucher, escludendo totalmente alcuni settori, come per esempio l’edilizia.

Alla luce di tutto questo, da un punto di vista politico modificare il Jobs Act, almeno nella parte riguardante i voucher, prima della decisione della Consulta, rimane la strategia migliore, anche se complicata, vista la ristrettezza dei tempi. Ma, da un punto di vista sociale, modificare il Jobs Act solo per aggirare un referendum, o comunque solo su pressione di una raccolta firme condotta da un sindacato e andata al vaglio della Corte Costituzionale, rimane una sconfitta. Non è, infatti, una valutazione degli effetti dell’utilizzazione di uno strumento a smuovere il decisionismo governativo, ma la “paura” del possibile effetto del decisionismo di un potere terzo, in questo caso la Corte Costituzionale.

Camilla Ferrandi

L'autore: Camilla Ferrandi

Nata nel 1989 a Grosseto. Laureata magistrale in Scienze della Politica e dei Processi Decisionali presso la Cesare Alfieri di Firenze e con un Master in Istituzioni Parlamentari per consulenti d'assemblea conseguito a La Sapienza. Appassionata di politica interna, collaboro con Termometro Politico dal 2016.
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