I politici stranieri più importanti del 2016
I politici stranieri più importanti del 2016
Il 2016 è stato – tra elezioni, eventi catastrofici e quant’altro – un anno all’insegna di personaggi di spicco della scena politica mondiale.
Tra performance positive e protagonisti di annate da dimenticare, cerchiamo di stilare un breve elenco dei più importanti.
Donald Trump
E’ sicuramente il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America la vera star politica del 2016. Visto quasi come un corpo estraneo rispetto al Partito Repubblicano – soprattutto da parte dell’establishment GOP – il tycoon newyorkese ha sbaragliato dapprima la concorrenza interna, surclassando i favoriti Ted Cruz e Marco Rubio.
Quindi, da candidato ufficiale del GOP, ha sovvertito pressoché tutti i sondaggi, pronti a celebrare Hillary Clinton quale primo presidente donna della storia degli USA. Conquistando la Casa Bianca a colpi di consensi, strappando ai dem gli swing states e facendo breccia tra gli operai della Rust Belt, fiaccati dalle politiche di delocalizzazione portate avanti negli ultimi anni. Con queste premesse, il 2017 non potrà che vederlo nuovamente al centro della scena.
Nigel Farage (e Boris Johnson)
Ovvero, i vincitori del referendum a favore della Brexit, che nel giugno scorso ha sancito la volontà dell’elettorato britannico di recidere i legami con l’Unione Europea.
Ma se Johnson ha fatto due passi indietro ed uno avanti – rinunciando alla leadership dei Tories ma accettando la guida del Ministero degli Affari Esteri nel nuovo governo guidato da Theresa May, succeduta al dimissionario David Cameron – il leader degli euroscettici UKIP ha preferito defilarsi. Lasciando il timone del partito e rifugiandosi – può sembrare paradossale – nel suo scranno da europarlamentare. Comunque vada – ed infatti la Brexit non è ancora operativa – un’annata da protagonisti assoluti.
Recep Tayyip Erdogan
Il presidente turco è il prototipo del protagonista divisivo, in grado di caratterizzare l’anno nel bene quanto nel male. La vittoria alle presidenziali del 2014 e (al secondo tentativo) alle parlamentari del 2015 hanno rappresentato i primi due punti fondamentali del progetto: la trasformazione della Turchia in una Repubblica presidenziale islamista (un sultanato autoritario neo-ottomano, secondo i detrattori).
Il terzo passaggio cruciale è avvenuto nel luglio 2016, con il fallito colpo di stato. Premessa ad un giro di vite nel Paese e al tentativo di concretizzare la portata più succulenta del menù proposto: la riforma costituzionale, che necessita di 2/3 dei seggi (cioè anche di una parte dell’opposizione).
Ma oltre a blindare il consenso interno, il 2016 di Erdogan ha rappresentato anche l’anno in cui piantare bandierine importanti anche sullo scacchiere internazionale. A partire dal martoriato Medio Oriente, a cui potrebbe servire – una volta finita la fase di caos legata al califfato, “aiutata” anche dall’ambiguità turca – una nuova guida politica e spirituale (magari con sede proprio ad Ankara). Nel frattempo, il presidente turco è riuscito a ricomporre i rapporti con Putin, che sembravano essere andati in mille pezzi dopo l’abbattimento dell’aereo russo nel novembre 2015.
Ma sul piano internazionale il vero chiodo fisso di Erdogan probabilmente è (da anni) uno solo: entrare nell’Unione Europea. Un obiettivo per il quale ha recentemente minacciato di stracciare l’accordo stipulato con Bruxelles per la gestione dell’emergenza migranti, che affligge l’Europa e che vede nella Turchia uno dei principali canali di afflusso verso il Vecchio Continente di disperati ma anche di potenziali terroristi. E che pone le premesse per un 2017 altrettanto scoppiettante.
Angela Merkel
Molti la davano in difficoltà. Per il Financial Times – nelle sue previsioni per il 2016 – sarebbe stato addirittura l’anno del suo addio al Cancellierato. Invece non solo Angela Merkel non lascia, ma addirittura raddoppia. E nonostante le difficoltà legate alla gestione migranti e al terrorismo – che spingono in alto il consenso dell’estrema destra – si candida per un quarto mandato.
Ci è riuscita ricomponendo le frizioni all’interno di una CDU-CSU che sembrava (secondo i beninformati) sul punto di voltarle definitivamente le spalle. E proponendosi ancora una volta come guida di un’Europa sempre più fragile, tra minacce esterne e debolezze sul piano politico ed economico. In vista di un 2017 che potrebbe rappresentarne la (nuova) consacrazione o, al contrario, la definitiva uscita di scena.
François Hollande
Perché la Francia è al centro dell’attualità politica internazionale da molti mesi, con gli attentati di Parigi del 2015 e di Nizza del 2016 che l’hanno resa il bersaglio principale dell’offensiva dell’ISIS in Europa. Un insieme di eventi che non ha scalfito la fermezza del presidente François Hollande, che ha confermato anche nel 2016 l’interventismo transalpino in Medio Oriente, con bombardamenti aerei in Siria ed Iraq all’interno dell’operazione Chammall, il contributo francese alla guerra contro il califfato inaugurata dagli Stati Uniti nell’agosto 2014 con l’operazione Inherent Resolve.
Ma gli attentati, l’emergenza migratoria ed un’economia che fatica a riprendersi, hanno fiaccato ulteriormente il basso consenso registrato dall’inquilino dell’Eliseo nell’elettorato. E così, dinanzi ad una presidenza bocciata costantemente da oltre 7 francesi su 10, Hollande non ha potuto far altro che rinunciare alla corsa per un secondo mandato. Chiudendo un 2016 da dimenticare. E aprendo la strada ad un 2017 che potrebbe essere – restando oltralpe – l’anno di Marine Le Pen o François Fillon.
Vladimir Putin
Il presidente russo non può essere estromesso dalla lista. Dopo aver inaugurato il 2014 con l’annessione della Crimea ed il 2015 alimentando il separatismo filorusso nel Donbass ucraino, l’interventismo estero del leader del Cremlino si è spostato sulla Siria, in soccorso dell’alleato Bashar Assad. Un supporto tradotto in sostegno logistico e bombardamenti contro ISIS e ribelli anti-regime.
Nel frattempo, a giocare a favore di Putin in Europa Orientale ci hanno pensato anche le elezioni in Bulgaria e Moldavia, che hanno visto il successo di candidati filorussi ed uno schiaffo all’Unione Europea. E se il triennio appena trascorso non è stato avaro di emozioni, le premesse per il 2017 sembrano ancora più interessanti. Soprattutto dopo la vittoria di Trump, che ha già annunciato di voler fare del dialogo con Mosca uno dei punti chiave della sua presidenza.