Asia: 4 elezioni da tenere d’occhio nel 2017
Asia: 4 elezioni da tenere d’occhio nel 2017
Il 2016 è stato un anno di cambiamenti – reali alcuni, ancora solo promessi altri – per l’Asia. Soprattutto, se si guarda alle vicende elettorali che hanno percorso il continente. Un episodio su tutti, la vittoria di Tsai Ing-wen, prima donna a essere eletta Presidente di Taiwan. Solo un mese dopo, il Myanmar ha eletto il suo primo Capo di Stato civile dopo mezzo secolo di sostanziale dittatura militare. Un’altro importante evento ha riguardato le Filippine che hanno scelto Rodrigo Duterte come guida del paese.
Asia: 4 elezioni da tenere d’occhio nel 2017
Questo per quanto riguarda il 2016. Tuttavia, anche il 2017 potrebbe essere un anno di “svolta”. Saranno da tenere d’occhio, in particolare, 4 momenti politicamente fondamentali per 4 diversi paesi.
Thailandia
Ad Agosto, la giunta militare che attualmente controlla il paese aveva promesso elezioni democratiche nel 2017. Non molto tempo dopo, a novembre, i vertici dell’esercito hanno corretto il tiro: si voterà solo se non sarà a rischio la stabilità del paese. I thailandesi aspettano di avere un governo eletto dal 2014, quando i militari deposero l’allora primo ministro Yingluck Shinawatra, coinvolta in diversi scandali giudiziari e criticata per alcune leggi che avrebbero favorito il fratello Thaksin, anch’egli ex premier, fuggito all’estero dopo una condanna per abuso di potere. Il golpe maturò in un’atmosfera di tensione crescente tra sostenitori e oppositori del governo. Inoltre, pochi mesi fa, è stata cambiata la costituzione del paese. La Carta Fondamentale, attualmente, concede all’esercito il diritto di imporre la legge marziale senza l’approvazione del governo. In più, ai militari spetta la nomina dei membri della Camera Alta di Bangkok.
Corea del Sud
Situazione complicata anche a Seul. Non molti giorni fa, il parlamento del paese ha votato l’impeachment per il Presidente Park Geun-hye, accusata di aver favorito una rete di corruzione con al vertice una sua amica. La palla è quindi passata alla Corte Costituzionale sudcoreana che ha a disposizione 180 giorni per confermare o meno la sua sospensione. Difficilmente dall’alto organo giudiziario arriveranno buone notizie per la Park. Dopo la conferma dell’impeachment, bisognerà andare alle urne entro 60 giorni quando la loro apertura era prevista per il dicembre del 2017. La Park è costituzionalmente fuori dalla corsa, per il suo posto concorrono Moon Jae-in, sconfitto dalla stessa Park nel 2012, Ban Ki moon, ex Segretario Onu candidato con il partito della Park, e Lee Jae-myung che, nonostante abbia un programma più simile a quello di Bernie Sanders, viene chiamato il “Trumo coreano” per via delle sue uscite controverse.
Hong Kong
Il 12 dicembre, Hong Kong ha eletto i 1.200 membri del proprio Comitato Elettorale. A fine marzo 2017, questi ultimi saranno chiamati a scegliere il capo esecutivo della Regione ad amministrazione speciale della Repubblica Popolare Cinese che, d’altra parte, viene pur sempre nominato da Pechino. L’attuale capo esecutivo Leung Chun-ying, fedelissimo dei cinesi, è particolarmente impopolare tra i cittadini della “città-stato”. Sopratutto, tra i più giovani che, sin dai primi momenti della “umbrella revolution” cominciata nel 2014, nella sua figura hanno individuato il simbolo delle ingerenze della Repubblica Popolare nella vita della regione. Leung ha già dichiarato di non volersi ripresentare per un altro mandato, il candidato favorito dei cinesi è Regina Ip, capo del New People’s Party, quello dei “manifestanti”, invece, è John Tsang, Segretario della finanza, che si è – cautamente – dichiarato a favore della rivoluzione degli ombrelli.
Cina
Certo, in Cina non si tengono delle vere e proprie elezioni, però, anche se a porte chiuse, tra ottobre e novembre, si svolgerà il 19esimo Congresso del Partito Comunista durante il quale i funzionari del partito saranno chiamati a rinnovare gli organi direttivi del paese. Il Congresso del 2017 sarà particolarmente importante perché verranno scelti 5 dei 7 membri che compongono il Comitato Permanente del Partito – il Presidente Xi Jinping e il premier Li Keqiang resteranno con tutta probabilità al loro posto fino al 2022 – e la metà dei 18 membri che formano il Politburo del Partito.