Prodi: “No a leggi elettorali contro Grillo e il Movimento 5 Stelle”
“I populismi sono in ascesa, perché nessuno sembra in grado di riprendere una discussione a 360 gradi e di contestare un modello di potere verticale che ha fallito. Non si discute più nelle assemblee, nei partiti, in Parlamento. Né basta dire: ma i populisti non hanno programmi. E perché dovrebbero averne? A loro interessa demolire, e poi si vedrà”. Conclude così Romano Prodi, intervistato da Massimo Franco per il Corriere della Sera.
Un’intervista che ha toccato molti temi, ma con un unico filo conduttore: il populismo e il suo progressivo successo in occidente. Secondo l’economista, il motivo principale che ha dato fiato ai movimenti populisti in Europa e negli Stati Uniti sta nella “crisi del modo in cui si esprime la volontà popolare, e l’approccio col quale sono state gestite le crisi economiche e le disparità crescenti di reddito. Purtroppo, ci si è mossi quasi sempre facendo prevalere l’ottica elettorale, e con provvedimenti proiettati nel breve periodo”.
Dunque, il populismo si è insediato in quei vuoti lasciati dalle democrazie contemporanee, che sono state incapaci di arginare gli effetti deleteri di una crisi economica, politica e sociale iniziata già nello scorso millennio ed esplosa nel 2007-2008. Come sottolineato da molti studiosi, infatti, le cause principi del successo iniziale dei populismi stanno nella diffusione di sentimenti di sfiducia verso le istituzioni e i partiti tradizionali.
Nelle democrazie contemporanee occidentali, anche se in tempi diversi, il rapporto governati/governanti ha iniziato a deteriorarsi progressivamente per effetto di una pluralità di fattori che hanno accentuato la distanza tra il cittadino medio e le élites: la scarsa rispondenza dei governanti alle esigenze dei governati; episodi di corruzione che hanno coinvolto leaders politici e vertici istituzionali; il declino delle ideologie. Ora, il rifiuto dei cittadini per la politica e i partiti può sfociare nell’astensionismo e/o nel voto di protesta. Quest’ultimo converge nei partiti populisti che, mobilitando il risentimento, riescono ad intercettare i cittadini che si sentono, per così dire, alienati, e ad affermarsi in un’elezione.
È quello che è successo in Italia sia con la Lega Nord che con il Movimento 5 Stelle. La Lega si afferma nell’Italia post Tangentopoli, il M5S nel post berlusconismo, dopo il boom della crisi economica e dopo un anno e mezzo di governi tecnici.
Ma è anche quello che è successo con il referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre, il cui risultato negativo è, a detta di Prodi, “parte di una progressiva estraneità del popolo rispetto alle riforme. È successo in Italia un fenomeno simile a quello che si registrò con la bocciatura della Costituzione europea in Francia nel 2005. Il popolo non votò pro o contro il Trattato, ma contro il presidente di allora, Jacques Chirac”.
Ma una cosa è la nascita dei populismi, altra cosa il loro perdurare in un sistema politico. Gli studiosi osservano che i populismi, solitamente, si mantengono nel lungo periodo se riescono a monopolizzare una issus ben precisa, come nel caso della Lega delle origini, che l’aveva individuata nell’immigrazione e nel separazionismo, e/o se possiedono una compattezza organizzativa, tenuta insieme da una leadership forte, come nel caso del M5S. Ma può capitare che la forza della leadership inizi a vacillare, il che succede soprattutto laddove il partito populista inizia a governare (il M5S ha conquistato molti comuni, tra cui quello di Roma).
Prodi: “Identità dei populisti è la paura”
In genere, sottolineano gli analisti politici, una volta guadagnato l’accesso alle posizioni governative, i populisti si rivelano incapaci e inefficienti, il che prelude ad un’emorragia di voti nelle elezioni successive, secondo una regolarità empirica più volte confermata. È proprio questo, secondo Romano Prodi, uno dei principali motivi che sta alla base “della svolta trumpiana di Beppe Grillo in materia di immigrazione. Posso solo dire – continua – che non mi sorprende. Ha a che fare con l’esigenza di velare le magagne del Campidoglio, certo. Ma non solo: c’è molto di più. I populismi tendono a occupare l’intero spettro politico, di destra, di centro e di sinistra. La loro identità è la paura che si è annidata e sedimentata nell’opinione pubblica. E Grillo è tra quanti la stanno sfruttando meglio, anche grazie agli errori di chi dovrebbe contrastarlo … (infatti, il M5S) si è rafforzato senza dubbio, come tutti i populismi del mondo occidentale. D’altronde, quando si sente dire che occorre fare una legge elettorale perché tutti hanno paura di favorire Grillo, significa che il suo movimento va avanti; e che gli strumenti usati finora per fermarlo si sono rivelati inadeguati”.
E alla domanda di Franco, se sia giusto o meno fare una legge elettorale per fermare Grillo, l’ex premier risponde: “Assolutamente no. Guai a muoversi in questa logica. Le leggi elettorali debbono essere per sempre, comunque per un lungo periodo … In questa fase sono favorevole a una rivisitazione del cosiddetto Mattarellum. Credo sia l’unica maniera per ricreare – grazie ai collegi uninominali – un minimo di rapporto tra elettori e eletti … (infatti) credo che il Mattarellum spingerà i partiti a mettere in campo candidati decenti, in grado di essere riconosciuti in collegi uninominali non troppo grandi”.
È anche dalle regole elettorali che si può partire per poter generare spinte a inversioni di tendenza. E, come ribadito da Prodi in questa intervista, il collegio uninominale è uno dei principali strumenti atti e in grado di ricostruire il rapporto di fiducia e responsabilità tra eletti ed elettori, quel rapporto il cui ripristino è visto come una delle principali esigenze dell’Italia e, in generale, delle democrazie occidentali contemporanee.
Camilla Ferrandi