Gentiloni, politica estera tra G7 e Onu: l’Italia alla prova
Gentiloni, politica estera tra G7 e Onu: l’Italia alla prova
Il 2017 si preannuncia un anno decisivo e ricco di impegni per la politica estera italiana. Da ieri infatti, primo gennaio, l’Italia ha assunto la presidenza del G7 ed è entrata come membro non permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che presiederà dal prossimo novembre. Sempre da ieri, il nostro paese è entrato anche nella collegio dell’Osce, guidando il gruppo di contatto sul Mediterraneo. Il Mediterraneo al centro dell’agenda politica, quindi, rafforzato dalla guida italiana: sarà questa la priorità della politica estera del nostro governo. Non solo Mediterraneo, però. Nel discorso di fine anno il presidente del consiglio Paolo Gentiloni ha illustrato quali saranno i temi al centro dell’agenda di politica estera, e ha sottolineato come l’Italia potrebbe giocare un ruolo importante nella partita del 2017.
Gentiloni, politica estera tra G7 e Onu: l’Italia alla prova
Il presidente del Consiglio, ministro degli Esteri nel precedente governo, ha garantito che il ruolo dell’Italia nel G7 sarà “quello di sempre”, ovvero fermo nella difesa dei valori della libertà e democrazia, con il contributo nelle missioni internazionali, dall’Iraq all’Afghanistan, e partner fondamentale nell’Unione europea e nella Nato.
Nella conferenza stampa dello scorso 23 dicembre ha infatti tracciato le linee guida dell’azione politica italiana, ribadendo la necessità che “l’Italia, nella sua politica estera, abbia fermi i parametri Europa-Alleanza atlantica, ma abbia anche molto chiara la necessità di tenere da conto il nostro interesse nazionale” – e ha aggiunto che per l’economia e la sicurezza del paese ciò che conta è infatti la centralità del Mediterraneo, in una scena politica che “vede protagonisti da un lato gli Stati falliti come Libia, Siria, Yemen e Somalia e dall’altra parte la frustrazione di alcuni Stati sovrani che si traduce in una politica nazionale molto pronunciata”.
Non è ancora certo se sarà proprio Paolo Gentiloni a presiedere la prossima conferenza G7, in programma a Taormina il 26 e 27 maggio prossimi. È certo, invece, che chiunque presiederà il summit si troverà a gestire dei nuovi equilibri. Per gli Stati Uniti, il democratico Obama sarà sostituito dal neo eletto Donald Trump, che ha già dato modo di intendere alcuni cambiamenti nella politica estera del paese. Ciò che ha assicurato Gentiloni è la solida alleanza tra i due paesi: “ci sono cose che non cambiano, il rapporto tra Italia e Usa non è cambiato nel passaggio tra Kennedy e Nixon, Reagan e Clinton, Bush e Obama”, anzi l’Italia potrebbe giocare un ruolo nel tentativo di riprendere il dialogo con la Russia.
Una delle questioni al centro dell’agenda per il semestre appena iniziato potrebbe essere il riequilibrio nelle relazioni tra Israele e Palestina. Il 2016 si è concluso con la storica votazione al Consiglio di sicurezza dell’ONU che ha approvato una risoluzione di condanna degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Un risultato ottenuto grazie all’astensione degli Stati Uniti. Gentiloni ha annunciato che l’Italia cercherà di rimette la questione al centro dell’agenda, poiché non si può consentire “al terrorismo di matrice islamica di appropriarsi del conflitto palestinese, che nasce con un’altra storia” – ciò che occorre, è invece puntare alla soluzione di due popoli e due Stati, per questo: “l’annuncio di nuovi insediamenti non aiuta così come non aiuta isolare Israele nei consessi internazionali”.
Per finire la Siria. Anche in questo teatro di guerra l’Italia potrebbe avere un ruolo importante all’interno delle Nazioni Unite. Dopo l’accordo dello scorso 30 dicembre tra il governo siriano e una parte dei gruppi ribelli per il cessate il fuoco, la situazione sembra ancora essere in una fase di incertezza. Il premier ha messo in evidenza la fragilità dell’accordo sulla base della collaborazione tra Russia e Turchia, mentre la crisi dovrebbe essere gestita solo nella sede delle Nazioni unite: “il messaggio dell’Italia è che la soluzione passa per l’apertura di un negoziato che veda una transizione gestita dall’Onu”.