Lunedì 12 marzo il Teatro Smeraldo di Milano ha ospitato l’evento di compleanno per i 10 anni di vita di Libertà e Giustizia.
Teatro gremito (comunque una location ben più piccola del Palasharp che aveva ospitato l’iniziativa dell’Associazione “Dimettiti”, nel febbraio 2011).
[ad]Un parterre di qualità, come sempre succede quando Libertà e Giustizia si muove (in prima fila il Sindaco di Milano Giuliano Pisapia, Umberto Eco, Carlo de Benedetti).
Sul palco si sono alternati la presidente dell’associazione, Sandra Bonsanti, il presidente onorario Gustavo Zagrebelsky, Giuliano Pisapia, e, infine, Roberto Saviano.
L’evento è stato l’occasione per presentare il manifesto/appello lanciato nei giorni scorsi da Libertà e Giustizia “Dissociarsi riconciliarsi. Dipende da noi”, che ha raccolto già 35.000 firme, tra cui quelle di nomi importanti de “l’intellighenzia” italiana (da Gae Aulenti a Roberto Benigni, da Piero Pelù a Stefano Rodotà, solo per citarne alcuni a titolo d’esempio).
Cosa dice in sintesi il manifesto?
Chiede un ritorno alla politica, intesa nel senso più “positivo” del termine, capace di ri-attivare la partecipazione dei cittadini. Una politica (e di conseguenza i partiti che della politica sono strumento) capace di riformarsi nel profondo, di innescare un rinnovamento reale della sua classe dirigente e di marcare una distanza effettiva con la deriva di scandali e corruzione che continuano a caratterizzarla (in questo senso l’appello di Roberto Saviano perché si arrivi al più presto all’approvazione di una legge anti-corruzione).
Una politica capace di ri-prendere in mano il governo del paese, una volta conclusa l’esperienza del “governo tecnico”, vista da Libertà e Giustizia come un rimedio inevitabile ma per forza di cose di breve durata. “La parola deve tornare al più presto agli elettori” è il tema centrale richiamato nel corso della serata da tutti gli interventi.
Come spiega Gustavo Zagrebelsky “Questo documento non è un modo per partecipare alle piccole e grandi manovre in vista della scadenza elettorale né per lanciare segnali”.
“Non siamo apolitici o antipolitici, come sostengono alcuni, siamo ultrapolitici.”, aggiunge ancora Zagrebelsky. “Identificare chi critica i partiti come nemico della politica è una strumentalizzazione. Noi non facciamo di tutta un’erba un fascio, non siamo qualunquisti”.
Le “linee guida” del manifesto di Libertà e Giustizia appaiono facilmente condivisibili, soprattutto da parte di chi, in questi anni, si è speso (e continua a spendersi) per un cambiamento effettivo, capace di ri-dare all’Italia le condizioni minime per una ri-partenza dignitosa dopo il periodo del “governo tecnico”, destinato comunque a concludersi, almeno in questa formula, con le elezioni politiche del 2013.
Ma c’è un “ma”.
Come spesso accade, gli appelli, soprattutto quelli che arrivano da soggetti autorevoli (come nel caso di Libertà e Giustizia), riescono ad aggregare con una certa facilità, una parte ben definita dell’opinione pubblica. Disposta a “mobilitarsi” (con una firma, partecipando a un’iniziativa o a una manifestazione).
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Ma è sufficiente?
Martedì, Nanni Moretti, nell’intervista rilasciata a la Repubblica, parla, tra le altre cose dell’esperienza dei “Girotondi”: “Dieci anni fa iniziammo il movimento dei ‘girotondi’, con l’idea di rivolgerci a tutti e di presidiare fisicamente dei luoghi che consideravamo sotto la minaccia del Presidente del consiglio. Dal ministero della Pubblica istruzione al Palazzo di giustizia. Però l’intento di rivolgersi a tutti, non solo alle associazioni o allo spontaneismo della sinistra, non riuscì. Non eravamo opinione pubblica, eravamo una parte. Invece negli altri Paesi, penso all’Inghilterra, alla Francia, alla Germania, se le istituzioni vengono offese o attaccate, la reazione è sempre di tutti.”
[ad]Nanni Moretti mette ben in evidenza il limite del movimento dei Girotondi.
Che rischia di essere anche quello di Libertà e Giustizia: parlare unicamente a una fetta dell’opinione pubblica, già informata, già sensibilizzata. E non riuscire (o non volere?) ad andare oltre. Sia nell’allargare il coinvolgimento di fasce più ampie di cittadini, sia nel trasformare il “Dipende da noi” in azione concreta.
E’ evidente che la fase politica attuale appare fortemente confusa e “in movimento”.
Il Partito Democratico, nella sua forma “originale” avrebbe dovuto/potuto rappresentare l’interlocutore privilegiato di movimenti e associazioni.
Non è andata esattamente così. La famigerata “società civile” si è avvicinata/riconosciuta solo in una sua parte molto limitata nel progetto del PD, per come si è andato configurando negli anni. Una “rappresentanza” che si è andata via, via assottigliando, stretta e compressa da chi nella politica (e nei partiti) ci è sempre stato.
Potrebbe essere proprio questo momento di generale ripensamento, un’opportunità per provare a rilanciare.
Per tentare di tradurre il “Dissociarsi, riconciliarsi” in una riconciliazione virtuosa, tra associazioni rappresentative della società civile e il/i partiti, capace di produrre risultati concreti e credibili. Spendibili anche con quei cittadini che, ora come ora, appaiono molto distanti e scarsamente motivati a dare fiducia alla “politica” (cittadini per lo più “assenti” se il dato rilevato in tutti gli ultimi sondaggi sulle intenzioni di voto, segnala più del 40% degli italiani indecisi od orientati all’astensione).
“Dipende da noi”.