Dicono che la vita, il Karma o come lo volete chiamare voi, sia una ruota che gira. Che prima o poi quello che fai ti ritorna indietro, che ti si ripresenterà una volta o l’altra un’occasione di redenzione, vendetta, o riscatto. Sarebbe bello che fosse una verità assoluta, mentre ahimè ben sappiamo tutti che non sempre questo avviene, anzi. Ci sono però occasioni in cui, soprattutto per la determinazione con cui certi obiettivi vengono perseguiti, la nuova opportunità arriva. E allora, se il contesto è lo sport nel suo più alto palcoscenico, si entra nella storia.
È esattamente questo che è capitato ai San Antonio Spurs, reduci dalla finale persa lo scorso anno, proprio contro i Miami Heat, in una maniera rocambolesca, dolorosa e per molti versi beffarda. Hanno avuto la loro seconda chance e l’hanno sfruttata come meglio non avrebbero potuto. Tre vittorie in fila con venti punti di scarto medio, di cui due in trasferta su un campo inviolabile fino a quel momento, frutto di una circolazione di palla al limite della perfezione, di una difesa solida e sempre attenta, di una panchina profondissima e sempre capace di portare il suo contributo oltre che, ultima ma non per importanza, la spaventosa crescita di Kawhi Leonard, 23 anni da compiere tra meno di una settimana, difensore eccellente che adesso sembra anche pronto a segnarne 20 di media, e strameritatamente eletto come MVP delle finali. Impronosticabile solo dieci giorni fa. Hanno vinto gli Spurs, ma per favore non entriamo in discorsi come “ha perso Lebron James”, o “ha vinto il gioco di squadra contro i singoli”. Semplicemente ha vinto chi ha giocato meglio e soprattutto ne aveva di più, non solo a livello di motivazioni, ma di energia ed intensità. La grande differenza è stata lì. Dopo le prime due gare il duello appariva quanto mai equilibrato al di là dell’ uno a uno, con gli Heat vincitori in trasferta. Poi la anomala e clamorosa prestazione balistica di gara tre per San Antonio unita a qualche meccanismo che si è inceppato ha aperto la classica stalla facendo scappare i buoi. Stanotte James e compagni hanno provato a mettere tutto il loro orgoglio di campioni in campo, con il numero 6 a dominare letteralmente sui due lati del campo (17 e 6 rimbalzi in 12′). Con energia e intensità Miami è andata subito avanti (8-0, poi 19-5 e 22-6) con gli Spurs rintronati e insolitamente freddi al tiro (un canestro nei primi dieci tentativi), e risvegliati letteralmente da Ginobili, il migliore di gara 5, con sei punti filati che aprivano un parziale di 12-0 arginato dal solito Lebron, che da otto metri segnava a pochi secondi dalla fine il 29-22.
Terminata però l’onda dell’impatto emotivo Miami si riscopre svuotata di energie e di soluzioni. Battier e Haslem, buttati in campo nel primo tempo, portano quasi solo danni alla causa (specialmente il primo), Chalmers resta in panchina per tutti i primi 24 minuti (in quintetto Allen, impalpabile pure lui) mentre ad entrare è il nostro Marco Belinelli, autore di un canestro importante con i suoi ancora sotto nel punteggio. Una comparsata di un minuto e mezzo, ma quando conta e con impatto. Nonostante un Parker da 0/6 San Antonio inizia a macinare il suo gioco, e trascinata ancora da Ginobili e Leonard mette la freccia e non si volta più indietro, chiudendo il primo tempo sul +7.
Il Re è veramente troppo solo, e non riesce a replicare dopo la pausa l’impatto della prima frazione. Guarda i suoi come a voler dire “o lottiamo tutti insieme, o ci tenete come me, o non se ne fa più nulla”. Sarà, purtroppo per lui, esattamente così. Gli Spurs dilagano, trascinati da Patty Mills che segna da tre come fosse posseduto dallo spirito di Reggie Miller dei bei tempi, alzano il ritmo e le percentuali e per Miami è notte fonda. Non serve a nulla togliere dalla ghiacciaia Chalmers e Beasley, inserito nei dodici al posto di Oden, anche se per qualche minuto i due, con un gioco da tre punti a testa, danno qualche segno di vita per il -14. Oggi però nessuna squadra potrebbe recuperare 18 punti a questi Spurs, anche con un Parker da 0/10. Il francese si sblocca all’undicesimo tentativo e da lì infila il canestro per sette volte senza errori. Con meno di tre minuti da giocare Spoelstra leva i suoi tre big, con un Bosh ancora una volta cercato pochissimo ed un Wade a tratti imbarazzante, letterale ombra di se stesso per tutta la serie. È il segno della resa. In Florida si apre adesso il momento delle scelte, con i tre che potrebbero uscire dal loro contratto, e soprattutto con tanti giocatori che sono in scadenza. Pat Riley dovrà ricostruire la squadra per il prossimo anno e per quelli a venire, e non si preannuncia un lavoro semplice. Festeggiano invece in Texas, chiudendo con la standing ovation per Tim Duncan, un maestro del gioco e probabilmente la miglior ala grande della storia, che dopo il gesto stizzito dello scorso anno con cui chiuse la stagione oggi ci regala il secondo momento di emozione della sua carriera: le lacrime di gioia dopo gli abbracci con i suoi compagni e con i suoi cari. Dovesse davvero decidere di ritirarsi, difficilmente potremmo trovare un finale migliore.