Stati Uniti: la legittimazione del razzismo politically correct
Stati Uniti: la legittimazione del razzismo politically correct
La tematica del razzismo, dell’intolleranza, della segregazione, sono argomenti topici e che ritornano eternamente e ciclicamente all’interno dell’agenda politica americana. Singoli eventi – solitamente drammatici e violenti – che riaccendono il dibattito. Andando a ritroso sulla linea temporale della storia americana fino ai giorni nostri, la quasi totalità di questi eventi violenti ha riguardato un atto di violenza da parte di un soggetto facente parte della maggioranza, contro il cittadino “di serie B” (come è stato definito più e più volte l’afroamericano o l’ispanico). Il WASP (acronimo per white anglo-saxon protestant) Indipendentemente dal suo stato – che sia della società civile, militare o polizia – è l’oppressore. La minoranza, definita da tempo immemore, è la vittima di questi: capace di reagire alla violenza originaria con altra violenza.
Anni di lotte per i diritti civili e per l’uguaglianza hanno permesso di progredire – seppur lentamente e con molta strada ancora da fare – verso un futuro più equo, dove all’uguaglianza garantita sul piano formale corrisponda una reale uguaglianza sul piano sostanziale. L’indignazione scaturita da atti di violenza di matrice razzista ha permesso di riportare in primo piano il tema della discriminazione. L’indignazione dell’opinione pubblica comporta la condanna del gesto stesso e la sua delegittimazione. Dopo i drammatici eventi dell’estate di fuoco degli Stati Uniti (vissuta in concomitanza con l’incubo terrorismo in Europa) in cui si è generata una catena di mattanze e rappresaglie a sfondo razziale – cominciate da alcuni atti di persecuzione contro la popolazione afroamericana – si è palesato un cambio particolare nella percezione del razzismo e della discriminazione, nelle sue forme e nella reazione dell’opinione pubblica.
L’accanimento contro Donald Trump e la maggioranza silenziosa
Il primo elemento da tenere in considerazione, prima di addentrarci nell’analisi del fenomeno, è la percezione dell’allora candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti. Il magnate di New York è riuscito a captare il malcontento della working class (decisiva la conquista della rust belt), facendo leva sulle paure più recondite della popolazione e sull’avversione verso l’establishment. Un sistema che – tendenzialmente favorito da una vittoria della Clinton – ha perpetrato una campagna mediatica estremamente aggressiva contro un personaggio (il futuro presidente degli Stati Uniti d’America) già di per sé controverso e autore di dichiarazioni politicamente scorrette, tacciate di razzismo. Proprio quest’ultimo elemento è stato esasperato ed esteso a tutto l’elettorato di Donald Trump.
Alla vittoria di “The Donald”, senz’altro, si è manifestata la reazione – pressoché immediata – di quella stessa minoranza oppressa per decenni che ha visto, nella vittoria del magnate repubblicano, un importante passo indietro nella lotta per l’uguaglianza. Come affermato, il connotato razzista attribuito a Donald Trump, è stato esteso a un elettorato estremamente variegato. Le reazioni della oppresed minority si sono dirette sia contro lo stesso Trump (in una serie di marce, manifestazioni e atti simbolici) sia contro l’elettorato. È qui che la reazione dell’opinione pubblica non ha seguito il classico pattern della reazione al razzismo della maggioranza (che, in ogni caso, rimane più vivo che mai: l’uno non annulla l’altro).
La giustificazione della violenza contro la maggioranza silenziosa
Dal day after della vittoria di Donald Trump su Hillary Clinton, oltre a manifestazioni in cui una buona parte delle minoranze cantava “not my President”, gli atti di violenza della minoranza contro i WASP hanno subito un incremento notevole. Il nodo cruciale, però, non sta nell’aumento degli atti di violenza – che si potrebbe definire persino fisiologico, dopo la vittoria di un candidato xenofobo – bensì nella risposta eccessivamente blanda dei fabbricanti dell’opinione pubblica.
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L’ultimo, eclatante caso di un gruppo di giovani afroamericani che torturano un disabile bianco, reo di aver votato per Donald Trump. Definita da alcuni opinion makers come una “ragazzata”, il gesto è stato oltremodo stigmatizzato. Come detto, non è l’unico caso (dal fatidico 8 di novembre storie simili si ascoltano con sempre maggior frequenza) anche se uno dei più crudi e rappresentativi del cambio dell’opinione pubblica rispetto a fenomeni di razzismo ed hate crimes.
Stati Uniti e razzismo politically correct
Ciò che si può evincere dagli ultimi mesi, è l’asimmetria nel trattamento da parte dei mass-media americani dei fenomeni di matrice razzista. Da un lato, la violenza di matrice razziale della maggioranza nei confronti della minoranza viene puntualmente – e sottolineiamo, giustamente – punita e condannata all’unisono. D’altro canto, l’escalation dell’oppressione della minoranza contro la maggioranza silenziosa è parzialmente giustificata dalla massiva campagna di denigrazione perpetrata ai danni di Trump e, di rimando, al suo elettorato. È la giustificazione del crimine d’odio fondato nella nuova idea del cittadino WASP repubblicano: un elettore che – secondo la narrativa creata dai media – si rivela necessariamente razzista, portatore d’odio e di oppressione verso la minoranza e che, pertanto, merita di essere punito con la stessa moneta.
Alessandro Faggiano
Twitter:@AlessFaggiano