Sono le materie prime ad avere avuto gli scossoni più violenti degli ultimi giorni sui mercati finanziari. Due eventi rischiano di condizionarne l’andamento e renderlo decisamente più volatile rispetto al passato. Il primo è senza dubbio l’avanzata dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) verso la capitale irachena Bagdad: il gruppo ha preso il controllo di diverse città nel nord dell’Iraq, e con tali prese ha messo in forti dubbi il proseguimento regolare della forniture di petrolio iracheno, per quanto sinora non ci siano state interruzioni.
Nel caso in cui ISIS decidesse di interrompere le forniture dai territori sotto il loro controllo, o addirittura danneggiare o distruggere le infrastrutture necessarie, le riserve dell’OPEC si ridurrebbero, e di conseguenza la minore offerta aumenterebbe le pressioni sui prezzi. La questione irachena, insomma, se non dovesse essere risolta celermente, potrebbe costituire l’ennesimo pericolo di shock per l’economia mondiale.
L’altro evento è lo standoff fra Russia e Ucraina sulla bolletta del gas, che ha portato lunedì mattina alla chiusura dei rubinetti verso Kiev. Sul territorio ucraino si stima transitino 175 milioni di metri cubici di gas al giorno, ovvero gran parte delle esportazioni russe verso l’Europa. Questo evento è comunque, almeno al momento, meno pericoloso del precedente: le forniture non dovrebbero scarseggiare, e i contratti di fornitura con i Paesi europei dovrebbero essere portati a termine attraverso altri due gasdotti, il North Stream sul Mar Baltico e il Yamal, che transita per la Bielorussia, e la cui capacità massima è di circa 240 milioni di barili al giorno.
Inoltre la lontananza dell’inverno terrà sotto controllo la domanda, rendendo meno drammatica degli anni scorsi la questione. Va comunque ricordato che i due Paesi vicini continuano a guardarsi in cagnesco, e annunci di possibili riscaldamenti delle tensioni (anche militari) sono ormai quotidiani: un protrarsi del contenzioso rischia di dover ripensare ai pericoli che ne deriverebbero, compresi gli effetti sui prezzi delle materie prime e sulla ripresa economica.
Passiamo all’agenda macroeconomica: lunedì l’Eurostat ha confermato i dati sull’inflazione, che resta pericolosamente bassa (anche se la fiammata delle materie prime dovrebbe riuscire a dare una mano a sostenerla, in caso in cui le crisi dovessero perdurare).
Martedì l’indice ZEW dovrebbe rilevare che il sentiment degli investitori istituzionali tedeschi che dovrebbe migliorare leggermente, rimanendo in zona “ottimismo”; i prezzi al consumo USA dovrebbero crescere in linea con la rilevazione precedente, mantenendo un tasso di crescita annuo vicino al 2 per cento; il mercato immobiliare, infine, dovrebbe registrare una leggera frenata. Mercoledì l’evento più importante della giornata sarà il FOMC: la Fed statunitense deciderà se, e in che modo, modificare la politica monetaria, specie per quanto riguarda il proseguimento del tapering.
Giovedì le richieste di nuovi sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti dovrebbero restare poco sopra le 300mila unità; l’indice della Fed di Philadelphia dovrebbe invece segnalare un lieve peggioramento dell’attività del manifatturiero in tale distretto. Venerdì si attendono (relativamente) buone notizie dall’industria italiana, i cui ordinativi vengono visti dagli analisti in crescita di oltre il 2 per cento su base tendenziale.