Il 20 dicembre l’Iran di Hassan Rouhani ha preso parte, nel silenzio di molti, a un vertice trilaterale a Mosca con la Russia e la Turchia. Al centro del tavolo – una sorta di tavolo “ombra” rispetto a quello guidato a Ginevra dalle Nazioni Unite – la questione siriana, di evidente interesse strategico per i tre Paesi coinvolti. Pur territorialmente non facendo parte, Teheran come Mosca e Ankara, del Medio Oriente arabo propriamente detto, questa regione riveste storicamente un’importanza strategica fondamentale per la politica estera iraniana. Le possibilità di una reale convergenza devono fare tuttavia i conti con gli interessi nazionali dei tre lati di questo triangolo.
Siria: il triangolo precario tra Iran, Russia e Turchia
Anzitutto la Russia di Putin. Mosca con Teheran ha sostenuto ininterrottamente le forze lealiste di Assad, appoggiandone la ripresa di Aleppo. Badando molto marginalmente alle esigenze umanitarie dei teatri di guerra, le due potenze hanno senza indugi rigettato il principio internazionale della responsibility to protect, ribadendo la supremazia dello Stato e quindi del governo di Bashar al-Assad. Dietro il sostegno alle truppe lealiste, si celano gli interessi specifici di Iran e Russia. Per Teheran, il mantenimento dello status quo significa salvaguardare l’apertura di un canale che porta in Libano e consente il costante appoggio a Hezbollah con conseguente mantenimento di una pressione su Israele. Soprattutto per tali ragioni, il sostegno iraniano ad Assad è personale e incondizionato fino alla scadenza naturale del suo mandato presidenziale, prevista nel 2021.
Viceversa, Putin appare aperto a una più celere uscita di scena dell’attuale presidente col solo interesse di vederlo avvicendato da un governo che mantenga atteggiamento favorevole verso i desiderata di Mosca. In tal senso, non è probabilmente un caso l’annuncio del ritiro, avvenuto oramai lo scorso marzo, delle truppe russe in Siria. Una simile mossa è stata letta da molti come un avvertimento all’attuale regime di Damasco: il sostegno del Cremlino non è assoluto ma condizionato all’accettazione di Assad di sedere a un futuro tavolo internazionale dei negoziati sul suo Paese.
Esiste un’altra potenziale fonte di divergenza nell’asse Teheran-Mosca: il futuro dei curdi siriani. Nei loro confronti, la posizione iraniana è netta, osteggiando da anni le istanze irredentiste curde nei propri confini e rigettando potenziali soluzioni federali che diano origine a entità autonome come già accaduto nell’area settentrionale del Kurdistan col Rojava (nonostante l’Iran faccia parte, con la Russia, dello schieramento anti-Daesh dei curdi del KPU, Kurdish Protection Units). Contrariamente, la posizione russa appare più pragmatica, avendo come obiettivo l’utilizzo delle relazioni coi curdi nell’ambito del percorso di riavvicinamento in atto con la Turchia.
Ankara costituisce il terzo vertice di questo triangolo. La guerra in Siria ha incrinato non poco le relazioni con l’Iran, prima salde in particolare proprio grazie alla convergenza sulla questione dell’irredentismo curdo. In Siria, Teheran ha appoggiato con le proprie milizie il PYD (Sirian Democratic Union Party), in lotta alle opposizioni al regime di Assad ma affiliato al PKK e quindi assai inviso alla Turchia. Viceversa, Ankara si è schierata con il KNC (Kurdistan National Council), un insieme di partiti legati ai curdi iracheni. Tuttavia, nel frattempo, i legami del PYD con Washington e la creazione, con l’appoggio USA, della regione del Rojava posta sotto il controllo del partito, hanno cambiato la percezione iraniana, che ora guarda con diffidenza al PYD.
In questo quadro appare evidente il ruolo dominante della Russia, pronta ad agire pragmaticamente come mediatore delle complesse agende regionali, con la possibilità di una reale convergenza legata sostanzialmente a tre intricati nodi cui l’Iran è molto sensibile: l’accettazione di un compromesso su Assad (con l’uscita di scena del leader alawita prima del 2021), la ricerca di un equilibrio sullo status dei curdi e il ritiro delle milizie iraniane che in Siria combattono al fianco delle forze lealiste.