Guerra Siria: la lunga e tortuosa strada verso Astana
Guerra Siria: la lunga e tortuosa strada verso Astana
Beirut – I tavoli di pace che si terranno ad Astana il 23 gennaio saranno il primo vero confronto dialettico dopo 6 anni di conflitto civile in Siria. Decisive nelle trattative le posizioni acquisite dagli attori in campo al momento della tregua, annunciata il 30 dicembre a Mosca dal Presidente russo Vladimir Putin. Tregua con qualche “se”. La situazione di Wadi Barada sembra essersi sciolta e l’accordo, ad ora, regge.
Guerra Siria: la lunga e tortuosa strada verso Astana
Permangono numerosi dubbi sulla tenuta concreta dei colloqui, ma in qualsiasi caso la capitale kazaka rappresenterà un punto di incontro fondamentale. Ad Astana infatti confluiranno le richieste ufficiali delle forze in Siria, basate su progetti a lungo termine. Il successo delle trattative di pace è necessariamente collegato alla disponibilità degli attori di accettare un compromesso. La posizione di Assad è nevralgica.
Qualora il Presidente alawita volesse sfruttare il suo rinnovato potere per far accettare una resa senza condizioni, le porte di Astana si chiuderebbero immediatamente, facendo fallire il possibile grande successo della diplomazia russa. Mosca ne è cosciente e la realpolitik putiniana punterà ad “alleggerire” la posizione di Assad. Il Cremlino vuole giocare in casa e non accetterà un copione diverso da quello prefigurato.
Insomma tirare la corda, ma non fino al punto di rottura. Il coltello dalla parte del manico rimane in mano all’alleanza creatasi intorno ad Assad, ma Mosca conosce bene i rischi di una guerra continua e di logoramento. Per questo motivo, nelle ultime settimane, Putin e i suoi ministri hanno speso parole a favore di una pace stabile, ribadendo a più riprese l’intenzione di disimpegnare gradualmente le unità militari presenti nel paese medio orientale. Parole contraddette dai fatti.
E’ di ieri la notizia diffusa dal Telegraph dell’invio di nuovi aerei da combattimento in Siria. Da una parte quindi la facciata distensiva in vista di Astana, dall’altra la preparazione al fallimento dei tavoli di pace. Il lavoro russo in Siria si può dividere in tre fasi: alleanze (missione compiuta); guerra (missione semi compiuta); diplomazia (da chiudere in fretta perché strettamente collegata con la fase precedente).
Un successo nelle trattative di Astana, eleverebbe la Russia a reale alter ego degli Stati Uniti, non solo dal punto di vista militare, ma anche da quello della capacità nella risoluzione dei conflitti. Mosca sembra conscia delle debolezze di Assad e della conseguente incapacità dell’esercito siriano a controllare il territorio senza l’appoggio di alleati. Per questo motivo il compromesso deve far parte delle trattative.
In questo quadro si innesta la posizione della Turchia. Nell’ottica russa la presenza di Ankara alle trattative ha una ragione territoriale, l’esercito turco è sul suolo siriano. Per una ragione strumentale, le milizie ribelli sponsorizzate, e poi tradite, da Erdogan si immedesimeranno alla posizione più vicina ai loro interessi.
Ankara sta cercando disperatamente una via di fuga. La sua azione in Siria è stata un completo disastro. Persa Aleppo, i turchi si sono trovati impreparati, anche a causa di forti defezioni nella sua élite militare a seguito del golpe, ad una guerra contro l’Isis. Il rischio concreto per Erdogan, sulla via del Presidenzialismo, è di questi giorni la notizia della prima votazione al Parlamento per la modifica costituzionale, è l’implosione. L’unico punto su cui Ankara proverà a trattare sono i curdi siriani e la necessità di un intervento su questo fronte.
Chiusi nella stretta tra Kurdistan iracheno, Isis e Turchia, i curdi siriani potrebbero però sacrificare l’alleanza con gli Stati Uniti e ricominciare a discutere con Assad una possibile soluzione. In uno scenario di questo tipo Erdogan vedrebbe il suo castello di carte sprofondare inesorabilmente. I “se” sono d’obbligo e le incognite potrebbero deviare il corso degli eventi.
Intanto Hezbollah spinge in questa direzione, additando la Turchia come maggiore responsabile del conflitto civile siriano, nonché sponsor delle milizie ribelli e amico dei jihadisti.
Ci sono poi le forze ribelli che mantengono un ruolo decisivo nonostante la caduta di Aleppo. Da Astana capiremmo infatti le reali intenzioni dell’opposizione ad Assad. Sempre più scollegate dalle istanze provenienti dal basso, i gruppi anti governo potrebbero provare la via della riconciliazione, spingendo per una serie di leggi a favore di un processo che inglobi pace e democratizzazione.
Lo scenario opposto è invece rappresentato dal conflitto. Conflitto che si trasformerebbe lentamente in guerriglia. Tra poco meno di due settimane capiremo se il Kazakistan vale un compromesso, l’unica via di uscita percorribile da un conflitto durato oltre 2000 giorni.
Davide Lemmi