Movimento 5 Stelle: questione morale o eccesso di normazione?
Movimento 5 Stelle: questione morale o eccesso di normazione?
La fuoriuscita dal Movimento 5 Stelle degli eurodeputati Zanni (passato ai Verdi) e Affronte (Enf, Front National e Lega Nord) rilancia prepotentemente la questione dei Codici etici dei pentastellati e delle penali per gli eletti in essi contenute. Il partito di Grillo, fin dal suo ingresso nelle istituzioni, ha ormai collezionato molti codici e regolamenti. Da quello presentato alle elezioni europee del 2014 fino al famigerato regolamento per candidati ed eletti alle elezioni amministrative di Roma e il recente codice etico per i rapporti con le autorità giudiziarie.
Movimento 5 Stelle: questione morale o eccesso di normazione?
Questa inarrestabile produzione di documenti viene salutata da molti come una possibile soluzione pratica della “questione morale” berlingueriana, purtroppo sempre attuale. In realtà, almeno nelle forme con le quali è stata declinata finora, non rappresenta altro se non il sintomo di un altro male più recente e cioè l’eccesso di normazione, ulteriormente appesantito da una sostanziale e pericolosa sostituzione dell’etica al diritto quale principio ispiratore delle leggi. La soluzione del problema morale della politica non può certo venire dallo stravolgimento delle fondamenta dello Stato di diritto, soprattutto alla luce degli infausti esperimenti novecenteschi di Stato etico (i totalitarismi).
Nello specifico i regolamenti del Movimento presentano numerosi profili di incostituzionalità a cominciare dal fatto che, introducendo pesanti sanzioni (250.000 euro per i parlamentari europei, 150.000 per gli eletti a Roma) in caso di mancato rispetto dei principi in essi contenuti, surrettiziamente impongono agli eletti un vincolo di mandato che non è previsto dalla Costituzione e anzi, nel caso dei parlamentari, espressamente vietato. Dal punto di vista legale dunque, l’intera produzione dei codici del Movimento è priva di valore e fatta eccezione per l’evidente uso politico, i vertici dei 5 Stelle difficilmente potranno trascinare un proprio eletto inadempiente di fronte ad un giudice in forza di questi regolamenti, tanto più che anche le recenti modifiche del Non-statuto e del Regolamento del Movimento non hanno raggiunto il quorum legale per l’approvazione.
E non è finita qui. Il Movimento introduce anche elementi di democrazia diretta rimaneggiati fino a perdere il senso originario. Un esempio su tutti l’assurda interpretazione del meccanismo del “recall” inserita nel Codice per gli eletti di Roma, secondo cui “Sindaco, Assessori e consiglieri possono essere sfiduciati da almeno 500 iscritti al Movimento 5 Stelle che abbiano motivatamente proposto di dichiararli gravemente inadempienti mediante votazione in rete a maggioranza degli iscritti residenti in Roma”.
Il “recall”, procedura presente negli Stati Uniti, Svizzera e qualche altro paese, prevede però che una percentuale dei votanti all’ultima consultazione o del corpo elettorale complessivo (che può variare di molto dal 12% della California al 40% del Kansas) del Comune in questione, possa depositare una sorta di “voto di sfiducia” contro il Sindaco, che sarà poi oggetto di referendum.
Di certo non è possibile, come invece indicato nel documento dei 5 stelle, che 500 iscritti (non gli elettori!) ad un movimento politico possano chiedere e votare una mozione di sfiducia verso un Sindaco. Il vincolo di mandato che si viene a creare in questo modo non è verso l’elettorato, così come previsto dal “recall”, ma diventa, in pratica, un potere assegnato direttamente al partito.
Invece di salutare con immotivato e acritico giubilo questi codici etici, fondati sulla “petulante richiesta che si fa della onestà nella vita politica” (per citare Benedetto Croce in Etica e politica), forse sarebbe ora, dopo molti anni, di mettere finalmente in atto l’articolo 49 della Costituzione con una legge sui partiti che possa migliorare la selezione della classe dirigente, favorendo i processi democratici interni e risolvendo una volta per tutte il conflitto tra il potere politico e la magistratura con regole chiare e condivise.
Andrea Balossino