Denis Verdini: chiesti 11 anni per il crac del Credito cooperativo fiorentino
Denis Verdini: chiesti 11 anni per il crac del Credito cooperativo fiorentino
Ancora problemi giudiziari per Denis Verdini. I pubblici ministeri della Procura di Firenze Luca Turco e Giuseppina Mione hanno chiesto di condannare a 11 anni di reclusione il senatore di Ala. Per l’accusa avrebbe trasformato la banca, fallita nel 2010, a vent’anni dalla nomina a presidente, nel suo “centro di potere e comando” e “bancomat privato”. Al crac della banca di Campi Bisenzio è collegata anche la bancarotta della società Ste – che editava Il Giornale della Toscana, pubblicato tra il 1998 e il 2014 in abbinamento con Il Giornale – della società Sette Mari e di altre società collegate tra loro nella ‘galassia’ editoriale promossa dallo stesso Verdini. I pm hanno chiesto la condanna per 33 imputati.Per altri 10 è scattata la prescrizione. La sentenza è prevista a fine febbraio.
Denis Verdini: chiesti 11 anni per il crac del Credito cooperativo fiorentino
Per Denis Verdini le accuse sono di associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita e una presunta truffa allo Stato, emersa da un’indagine sui fondi per l’editoria passati da società e cooperative fiorentine. Per i pm sarebbero aziende fittizie, aperte solo per ottenere quei contributi.
La banca, secondo la requisitoria di Turco, sarebbe stata gestita da Verdini “per il perseguimento di interessi propri e di quelli di società e persone a lui vicini” – come “gli amici di affari Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei”, i costruttori della ex Btp per cui sono stati chiesti 9 anni ciascuno. Di Fusi il pm ha parlato come di un cliente “così vicino a Verdini” che concordava con lui azioni combinate.
Sei anni sono stati invece chiesti per Massimo Parisi, deputato di Ala e “amministratore di fatto” delle società editoriali di Verdini. Parisi è stato definito dal pm come uno dei simboli dell’intreccio fra banca e giornali.
Chiesti tra i 5 e i 6 di reclusione per i membri dei Cda, per i revisori dei conti del Ccf e per il direttore generale Piero Italo Biagini. Individuato come l’esecutore delle direttive impartite dal leader di Ala. La presidenza della banca, secondo la ricostruzione dell’accusa, consentì infatti a Verdini di “avere potere e comando, grazie ai finanziamenti concessi agli amici d’affari”, tanto da “costituirsi una posizione di potere” che contribuì alla sua azione politica.
Il pm Turco ha chiesto inoltre la confisca di beni per un valore complessivo di quasi 23 milioni di euro a carico di Verdini, Parisi e di un’altra ventina di imputati.