Un Massimo D’Alema a tuttotondo. E’ quello intervistato da Alan Friedman nel suo ultimo libro ‘Ammazziamo il Gattopardo’, che ora diventa anche trasmissione tv, con la prima delle interviste agli ex presidenti del consiglio italiani che andrà in onda giovedì su La7. Il ‘Fatto Quotidiano’ ha pubblicato uno stralcio del dialogo – di quasi un anno fa – tra Friedman e l’ex leader dei DS, presidente del Consiglio dal 1998 al 2000.
TRA ULIVO, BERLUSCONI E GRILLO – D’Alema snobba l’Ulivo – sottolineando che il vero motivo della vittoria elettorale del ’96 fu in realtà riuscire “a fare in modo che Berlusconi e Bossi arrivassero divisi alle elezioni” – e l’idealizzazione della società civile. “Cos’è la società civile? Quelli che votano Berlusconi non sono civili? Questa esaltazione acritica della società civile, come se ci fosse una società civile buona e i partiti cattivi, è una ideologia cattiva, cioè che non ha nessuna verità, non aiuta a capire niente. Semplicemente alimenta il qualunquismo contro i partiti”. Da qui l’analisi del M5S e di Beppe Grillo: “sono dei movimenti personali, diciamo le cose come stanno”.
IL DECLINO DEI PARTITI – L’analisi del M5S porta D’Alema ad un ragionamento generale sullo stato dei partiti italiani. “Sino a quando è stato guidato dai partiti, più o meno fino alla morte di Moro, il nostro Paese è cresciuto. Quando i partiti sono andati in crisi per la corruzione, per la caduta dei valori, dei principi, delle ideologie, è cominciato il declino”. Ed aggiunge: “finiti i partiti, le istituzioni sono state occupate da una neoborghesia che non ha nessuna ideologia, nessun valore, nessuna cultura politica, nessuna formazione se non quella di vedere nella politica un modo per sbarcare il lunario e per arricchirsi personalmente”. Una borghesia che per D’Alema è trasversale e coinvolge anche il PD, anche se “il Pdl ne è l’emblema“.
FINANZIAMENTO PUBBLICO E STATI UNITI – A chi parla di stop al finanziamento pubblico come soluzione al problema, D’Alema replica: “se si annulla quello pubblico bisognerà agevolare quello privato”. E non prova entusiasmo per il modello lobbystico statunitense: “l’America non è un grande modello, il peso di quelle contribuzioni è tale da condizionare la vita politica in modo impressionante”. Aggiungendo: “quando il presidente degli Stati Uniti nomina ambasciatore uno di quelli che hanno contribuito alla sua campagna elettorale è normale. Se lo facessi io, primo ministro italiano, verrei arrestato dal procuratore, perché sarebbe voto di scambio e immediatamente sarebbe un grave reato”.
Emanuele Vena