Matteo Renzi: lo schema rovesciato degli anni berlusconiani
L’intervista di Matteo Renzi a Repubblica costituisce il primo atto preparatorio al ritorno del leader democratico nel pieno della lotta politica. Un ritorno atteso anche dagli avversari che, dopo la “sbornia” post-referendum e gli appelli al voto, oggi, trascorso più di un mese dal Referendum, aspettano prudentemente la sentenza della Corte Costituzionale sull’Italicum per cominciare il proprio posizionamento elettorale, in funzione di cosa dirà e farà Matteo Renzi.
Matteo Renzi: lo schema rovesciato degli anni berlusconiani
Nel bene e nel male infatti, la figura dell’ex Presidente del Consiglio ha riproposto lo schema, rovesciato, degli anni del berlusconismo, con tutti gli avversari uniti per farlo cadere ma che necessitano della sua presenza per mantenere il proprio precario (per alcuni) consenso elettorale. Questo spiega il sostanziale immobilismo e la pavidità mostrati in queste settimane da tutte le forze politiche che, orfane della narrazione renziana, si scoprono senza argomenti, piene di problemi interni e molto più esposte di quanto vorrebbero far credere in vista delle possibili elezioni anticipate.
In particolare il mondo della destra, diviso e prigioniero dell’eterno ritorno di Berlusconi dal quale non può prescindere se vuol puntare alla vittoria, ma che non è più in grado di ricoprire quel ruolo di paciere tra le necessità dell’elettorato moderato e di quello più nazionalista del centrodestra. Il progressivo avvicinamento di Salvini e Meloni al lepenismo e a posizioni populiste anti-europee costituisce un problema per Berlusconi che, in caso di alleanza, potrebbe ritrovarsi stritolato nel sostenere posizioni estreme che poco si conciliano con le sue idee e non entusiasmano il suo elettorato.
Inoltre Berlusconi non è abituato ad un ruolo da comprimario e non vede di buon occhio le primarie alle quali, stavolta, non potrebbe più sfuggire come accaduto nel 2012. Insomma, la possibilità che il centrodestra si riunisca in una sola forza non è affatto scontata e la distanza tra i tre maggiori partiti (Lega Nord, FdI e FI) molto profonda. Il tutto senza contare i possibili scontri interni nella Lega, che la metamorfosi salviniana sta tentando di trasformare in un partito a dimensione nazionale abbandonando molte idee e parole d’ordine del passato.
Anche se il PD resta di gran lunga la forza politica più stabile e numericamente maggiore nel campo del centrosinistra, l’ipotesi di rilanciare una coalizione pescando in questo variegato mondo non sembra essere molto più semplice rispetto alle difficoltà del campo opposto. Le distanza che lo stesso Renzi ha voluto scavare tra sé e il vecchio establishment nel partito (con il quale lo scontro è ancora aperto) e i contrasti con Sinistra Italiana durante il suo governo rendono molto complicata una trattativa.
In quest’ottica non è casuale che anche nei momenti più duri del post-referendum Renzi abbia più volte parlato positivamente del Campo Progressista lanciato da Pisapia e cioè una formazione che sostenga il PD a sinistra. Resta poi da capire il ruolo di Alfano le cui speranze sono chiarissime: superare la soglia di sbarramento (quale che sia) e sostenere qualsiasi governo si presenti a chiedere la fiducia, ma non è chiaro quale sarà il suo posizionamento elettorale se più vicino a Renzi o a Berlusconi (la cui strategia in caso di mancato accordo con Lega e FdI potrebbe rivelarsi non troppo dissimile da quella di Alfano).
Per quanto riguarda le strategie di questi due campi, centrodestra e centrosinistra, molto dipenderà dalle caratteristiche che avrà la nuova legge elettorale e infatti tutto resta colpevolmente sospeso in attesa che la Corte Costituzionale si pronunci sull’Italicum. Dico colpevolmente perché vedere i partiti e Parlamento attendere sempre le pronunce della Corte, rinunciando consapevolmente al proprio ruolo, è la riprova delle enormi difficoltà nelle quali versa la politica nazionale, limitata e paurosa.
Diversa è la situazione del Movimento 5 Stelle la cui posizione è sempre chiara, soli contro tutti a prescindere dalla legge elettorale (anche se l’Italicum li vedrebbe certamente favoriti). Il Movimento rispetto agli altri contendenti ha l’elettorato più stabile in questa fase e può sfruttare le inimicizie tra gli altri per avvantaggiarsi come già accaduto a Parma, Roma e Torino.
Restano il grave problema della totale assenza di una classe dirigente di livello e alcuni errori politici recenti (dalla gestione di Roma al mancato accordo con l’ALDE) che, pur non intaccando in modo considerevole il consenso attuale, come evidenziato da molti, impediscono però al Movimento di “staccare” definitivamente il PD nei sondaggi, conquistando anche quell’elettorato che li osserva ancora con grande diffidenza.
Insomma, l’intero Paese è in attesa della sentenza sull’Italicum per sapere cosa faranno le forze politiche. Di certo il ritorno di Matteo Renzi in prima linea potrebbe contribuire a smuovere un po’ la palude politica delle ultime settimane: le opposizioni avrebbero di nuovo il “bersaglio grosso” da colpire e le sue azioni a sinistra sveleranno quante e quali lezioni ha imparato il leader democratico dalla dura sconfitta del 4 dicembre.
Andrea Balossino