Michele Emiliano: iscritto al Pd ma ancora magistrato, Csm apre fascicolo
“Costituiscono illeciti disciplinari al di fuori dell’esercizio delle funzioni (di magistrato, ndA) … l’iscrizione o la partecipazione a partiti politici”, recita così l’articolo 3, c. 1, lettera h), del Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109. A questo si è appellata la Procura generale della Cassazione, che ha richiesto di avviare, ottenendolo, un processo disciplinare per Michele Emiliano. Il presidente della Puglia è pronto a candidarsi a segretario del Pd, come ha ribadito in numerose interviste, ma la militanza nel partito, in cui ricopre cariche dirigenziali da molti anni, rischia di costargli cara.
Michele Emiliano: la carriera politica
Entra in politica nel 2004, quando diventa sindaco di Bari con la coalizione di centro sinistra. Segretario regionale del Partito Democratico pugliese nel 2007, manterrà la carica fino al 2009, quando diverrà Presidente regionale del Pd. Intanto, sempre nel 2009, viene nuovamente eletto sindaco del capoluogo pugliese.
Nel 2014, conclusa l’esperienza da primo cittadino e tornando a ricoprire la carica di segretario regionale del Pd, viene nominato assessore alla Legalità e polizia municipale nel Comune di San Severo, carica che ricopre a titolo gratuito e che abbandona dopo un anno, nel luglio 2015. Infatti, nel frattempo, Emiliano vince le elezioni regionali pugliesi del 2015, diventando Presidente della regione Puglia.
Michele Emiliano: ha violato una disposizione
La procura generale della Cassazione decide così di promuovere l’avvio di un processo disciplinare nei confronti del presidente pugliese, ricordando che questo, durante i mandati prima di sindaco di Bari (dal 2004 al 2014), poi di assessore al Comune di San Severo e ancora di presidente della Regione Puglia (dal giugno 2015 a ad oggi), ha ricoperto contemporaneamente gli incarichi di segretario e presidente del Pd pugliesi.
Cariche dirigenziali che “presuppongono per statuto l’iscrizione al partito politico di riferimento”. In questo modo, “iscrivendosi a un partito e svolgendovi attività partecipativa e direttiva in forma sistematica e continuativa”, il presidente della Puglia “ha violato” la disposizione del decreto legislativo 109 del 2006 che prevede come illecito disciplinare questi comportamenti; norma che a sua a volta dà attuazione a una prescrizione della Costituzione, “posta a garanzia – sottolinea ancora la Procura generale della Cassazione – dell’esercizio indipendente e imparziale della funzione giudiziaria” e che vale anche per i magistrati “collocati fuori del ruolo organico”.
Michele Emiliano: in aspettativa dal 2003
Infatti, Michele Emiliano è, dal 2003, in aspettativa e non svolge le funzioni di magistrato per l’espletamento dei mandati elettorali. “In questi 13 anni ho sempre fatto politica all’interno di formazioni politiche assimilabili a partiti politici, prima liste civiche e poi nel Pd a partire dal 2007. L’ho fatto fin dall’inizio richiedendo l’aspettativa, anche se la legge non mi obbligava a farlo. L’aspettativa serviva a far cessare l’esercizio delle funzioni ed a rispettare il divieto di iscrizione ai partiti per i magistrati. Ho avuto per questo un blocco di carriera che avrei evitato se avessi scelto di rimanere in servizio come la legge mi consentiva”.
A non convincere il presidente pugliese è anche la tempistica dell’iniziativa disciplinare e della calendarizzazione del giudizio. La richiesta di avvio del processo disciplinare nei confronti di Emiliano risale al 2014, prima della sua candidatura alle regionali 2015, e culmina ora con la richiesta di giudizio a suo carico, fissata per il 6 febbraio prossimo.
“Sono l’unico magistrato nella storia d’Italia, proprio in questi giorni e chissà perché, ad avere problemi di questo genere”, osserva. “Secondo la teoria accusatoria – ribatte ancora Emiliano – esisterebbero dunque due tipi di politici in Italia. Quelli che una volta eletti dal popolo hanno il diritto di costruire la politica nazionale dentro i partiti, ai sensi dell’articolo 49 della Costituzione, e quelli che possono essere eletti, ma devono rimanere da soli, senza la possibilità di fare politica in partiti o gruppi parlamentari di partito. Tra questi ultimi – prosegue – ci sono solo i magistrati. Che dovrebbero dunque farsi eleggere senza candidarsi in liste di partito o iscriversi a gruppi parlamentari. Che differenza vi sarebbe tra una tessera di partito e la candidatura in un partito o l’iscrizione a un gruppo parlamentare?”. E conclude: “Non temo dunque il giudizio del Csm, al quale mi rimetto con fiducia”.