Famiglie italiane: il 30% è formato da una sola persona, dati Istat
“Nel 2015 – in Italia – le famiglie unipersonali sono state 7 milioni 910 mila”, spiega Sabrina Prati, ricercatrice Istat, responsabile del Servizio Registro della popolazione, statistiche demografiche e condizioni di vita. Il dato è corroborazione di un fenomeno già percepibile e radicato in società. In termini percentuali, il 31,1% delle famiglie italiane è composto da una sola persona. Nel centro della penisola il trend è ancora più massiccio, arrivando a sfiorare 35%. I motivi alla base del fenomeno sono molti e di vario genere. E anche se gli effetti sono essenzialmente tangibili da pochi anni, le ragioni della famiglia mononucleare sono in evoluzione da decenni.
Famiglie italiane: vedove, separati e divorziati
Dei 7 milioni 910 mila, circa il 40% è rappresentato da vedovi (soprattutto vedove, che sono circa 3 milioni 200 mila), il 38% da persone che non si sono mai sposate, il 22% da persone che hanno interrotto una relazione coniugale. Per quanto riguarda l’alta percentuale di vedovanza, due sono le principali cause demografiche del fenomeno: l’invecchiamento della popolazione (che spiega la vedovanza tra gli anziani) e l’aumento della mortalità (che spiega la vedovanza tra gli adulti non anziani). Due tendenze apparentemente in contrasto ma che agiscono nella stessa direzione sul numero dei membri familiari, generando la loro riduzione.
Poco da dire sui separati e divorziati: che il trend sia crescente è, ormai, un dato di fatto. Il restante 38%, in termini assoluti più di 3 milioni di persone, riunisce in sé un elevato numero di varietà di individui, di diversa estrazione sociale, di diversa occupazione e di diversa nazionalità.
Minimo comun denominatore: l’attuale fase di precarietà a qualsiasi livello che si ripercuote nella coorte dei giovani/adulti, tra i 25 e i 45 anni. Manager che non hanno tempo per mettere su famiglia, disoccupati che non hanno soldi. Stranieri che, una volta arrivati, almeno per un primo momento, abitano da soli (stessa tendenza degli italiani all’estero). La flessibilità del lavoro, l’assenza di certezze nel futuro lavorativo. Ma anche l’emancipazione femminile, uno dei fattori che incide sul numero delle donne che vivono da sole, che rappresentano più della metà delle famiglie mononucleari italiane.
Famiglie italiane: il trionfo dell’egoismo?
Ora, al di là di giudizi personali, l’aumento del fenomeno della famiglia unipersonale è sicuramente uno spunto interessante per molte riflessioni sulla società odierna. Il filosofo Umberto Galimberti lo definisce “il trionfo dell’egoismo”. Le persone, a suo avviso, non sarebbero più in grado di prendersi la responsabilità di un’altra persona o di una famiglia, il che ha e continuerà ad avere ripercussioni negative sulla società, sempre più “atomistica e individualista”. La famiglia, infatti, in sociologia è il nucleo di partenza per studiare l’individuo e le sue relazioni sociali. È il cuore delle reti relazionali umane.
Aristotele definiva la famiglia la parte minima del tutto, il mattone costitutivo su cui si sviluppa la comunità politica (Stato). La famiglia è, continuava Aristotele, in opposizione al singolo individuo che da solo, in quanto singolo, non è numericamente in grado di essere società. Ma il singolo, continua il filosofo greco, è animale sociale, ovvero tende per natura ad aggregarsi ad altri individui e a costruirsi in società. Ora, se l’uomo è un animale sociale ed esplica la sua socialità prima di tutto nel nucleo base, che si identifica nella famiglia, laddove la famiglia inizia essere rappresentata da un unico individuo, o questo si snatura della sua naturale socialità, eludendo le sue relazioni sociali, o si vestirà di un altro tipo di socialità.
L’uomo, infatti, esplica la sua identità in un innumerevole numero di nuclei. Oltre alla famiglia, c’è il lavoro, gli amici, organizzazioni, associazioni ecc… Un “solo” tende maggiormente a frequentare gli ambienti di socialità alternativi alla famiglia.
Famiglie italiane: nuovi luoghi di aggregazione
Infatti, come conferma la sociologa della famiglia Paola Di Nicola, “stanno nascendo luoghi di aggregazione nuovi”. Spesso questi luoghi nascono, per così dire, “spontaneamente”, ovvero è lo stesso cambiamento in seno alla società a fungere da spinta per la loro creazione. Ma questo non basta. Uno Stato sociale, almeno in linea teorica, ha il dovere di studiare per comprendere i nuovi cambiamenti nella società, in questo caso il fenomeno delle famiglie unipersonali, interpretarli e fornire gli strumenti necessari agli individui della propria comunità per far fronte alle nuove sfide.
“Queste cifre lanciano sfide nuove: come costruire reti alternative alla famiglia, come favorire co-housing e reti di vicinato, come dare supporto alle necessità di una fascia di popolazione. Siamo in una fase di passaggio, ma la direzione della società è chiara. Ecco perché è necessario ragionare in termini di servizi, oggi del tutto assenti, a supporto delle persone che vivono da sole», sottolinea Francesca Zajczyk, docente di Sociologia urbana all’Università Milano Bicocca. Per aggirare il timore di Galimberti, quello di una società individualista ed egoista, è lo Stato, o come lo chiamerebbe Aristotele, la comunità politica, che dovrebbe iniziare a munirsi di nuovi strumenti e affiancare, accompagnare, indirizzare le spinte generate dalla socialità innata di ogni individuo.