È ancora presto per dire se il gancio gettato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio sulla legge elettorale e ufficialmente raccolto dal Pd potrà essere il primo segno di una fase nuova. L’incontro tra i due gruppi (in streaming) ci sarà, ma sul risultato è opportuno non scommettere. Al momento, l’unica cosa sensata da fare sembra analizzare con cura le carte che ciascuna parte ha in mano, con l’incognita di sapere se e come saranno giocate.
L’ITALICUM. Il ventaglio di cui dispongono al Nazareno è noto: si tratta dell’Italicum ultima versione (quella approdata in Senato, di cui non è ancora iniziato l’esame). Il testo è frutto dei vari accordi tra gli staff di Renzi e Berlusconi (con la partecipazione di altre forze di maggioranza); a situazione politica invariata, tuttavia, il contenuto – che tra l’altro riguarda la sola Camera, in attesa di notizie sulla riforma del Senato – subirà certamente modifiche.
Sul tavolo c’è un sistema a ballottaggio eventuale, con premio di maggioranza per la lista o la coalizione vincitrice, tra il 52% e il 55% se assegnato al primo turno (del 52% se attribuito al ballottaggio); il premio si assegna al primo turno solo se almeno un concorrente raggiunge il 37% dei voti. Ottiene seggi solo chi supera le soglie previste: 8% per le liste non coalizzate, 12% per le coalizioni, 4,5% per le liste all’interno di una coalizione; da tempo però si parla di modifiche “salva Lega” (per premiare una lista che non arriva al 4,5% nazionale, ma supera l’8% in almeno tre regioni) e “salva Sel” (ripescando la lista più votata tra quelle sotto soglia).
I seggi, infine, sarebbero assegnati “dall’alto”, prima a livello regionale e poi su un massimo di 120 collegi simil-provinciali, in ognuno dei quali si eleggerebbero dai tre ai sei deputati. Le liste presentate nei singoli collegi dai partiti sono “bloccate” (l’ordine è deciso dall’alto) e ci si può candidare con la stessa lista anche in 8 collegi diversi.
LA PROPOSTA DEI 5 STELLE. Nel post del 15 giugno, tuttavia, Grillo e Casaleggio sono stati chiari: l’eventuale discussione col Pd in materia elettorale dovrà partire dalla «legge M5S». Non vanno aggiustate le regole dell’Italicum: va cambiato l’intero gioco. Il punto di partenza sarebbe la proposta generata dalla consultazione in Rete (iniziata a gennaio) e presentata alla Camera all’inizio di maggio: non è una riedizione del testo presentato lo scorso anno dal gruppo stellato di Montecitorio (il primo firmatario è sempre Danilo Toninelli), ma qualche dettaglio ritorna.
Questo sistema elettorale è ben distante dall’Italicum: per questo, potrebbe facilmente riuscire sgradito a molti. L’impianto è proporzionale, non l’ideale per chi vuole sapere il nome del vincitore la sera dello spoglio (il risultato darebbe qualche idea, ma non su tutto). Ogni lista, tra l’altro, corre per conto suo, non essendo possibile stabilire coalizioni prima del voto (ma solo “fusioni” in un unico simbolo): questo, insieme al venir meno del premio di maggioranza, non rende il sistema simpatico a Berlusconi e a Forza Italia; sparisce anche il ballottaggio che nell’Italicum era stato voluto da Renzi e incassato senza troppa convinzione dal Cav.
I 618 seggi italiani della Camera verrebbero assegnati su 43 circoscrizioni, spesso pluriprovinciali: nelle tre aree metropolitane (Milano, Roma, Napoli) si assegnano tra 32 e 42 seggi, nelle altre si va da 5 a 24 (tranne Valle d’Aosta e Molise, che eleggono 1 e 3 deputati). La formula scelta per trasformare i voti di ogni circoscrizione in seggi – il metodo del divisore ad incremento 0,8, dividendo i voti ottenuti da ogni lista per 1, per 1,8, per 2,6, per 3,4… e assegnando i seggi alle liste che ottengono i quozienti più alti – fa sì che, di fatto, non abbiano seggi (o siano sottorappresentati, quando dimostrano coi voti il loro radicamento locale) i partiti che a livello nazionale non arrivano al 5%, mentre chi sta tra il 5% e il 10% vede ridimensionato il suo peso. Non ci sono premi di maggioranza e sbarramenti espliciti, ma il modo per premiare la maggioranza resta.
In ogni circoscrizione i partiti presentano liste non più bloccate (cosa che: non piace a molti politici, specie di apparato) e senza possibilità di multicandidature. Viene reintrodotta la preferenza, sia pure in modo del tutto inedito per l’Italia: all’elettore, infatti, sarebbero consegnate due schede diverse, una per il voto di lista, l’altra per il voto di preferenza “positiva”. Le novità sarebbero essenzialmente due: da una parte, il voto di preferenza per la prima volta può essere disgiunto (riguardando una lista diversa da quella votata o anche votando solo la preferenza, senza liste); dall’altra, dalla prima proposta a prima firma Toninelli viene recuperata la preferenza “negativa”, con la possibilità per l’elettore di “cancellare” con una croce un candidato ritenuto impresentabile, tra i nomi prestampati sulla scheda (l’elettore ha una preferenza positiva e una negativa, che diventano due nelle circoscrizioni maggiori).
Di fatto questo toglierebbe una preferenza al candidato cancellato, ma penalizzerebbe anche la sua lista, sottraendole una frazione di voto: è questo il modo trovato dal M5S per neutralizzare tanto la forza clientelare di eventuali candidati impresentabili, quanto eventuali campagne fratricide interne ai partiti (se cancellare un candidato penalizza la stessa lista, la preferenza negativa non si dà a cuor leggero).
Questa soluzione sulle preferenze sarebbe una novità assoluta per il paese. Non far sapere alla destra ciò che fa la sinistra, separando le schede, potrebbe piacere agli elettori, ma non farebbe la felicità dei partiti affetti da clientele, dei partiti medi (che avrebbero poche garanzie sui nomi eleggibili e, a monte, sulla possibilità di superare lo sbarramento di fatto) e, si parva licet, di chi esegue sondaggi: l’idea di dover conteggiare tra le variabili anche l’eventuale preferenza negativa e i suoi effetti su candidati e lista rischia di dare il colpo di grazia all’idea che le ricerche di mercato possano prevedere il risultato delle elezioni.
IL PALLOTTOLIERE. Tra l’Italicum e la proposta del M5S, insomma, c’è un abisso, in apparenza difficile da colmare. A meno che Matteo Renzi, scottato dai risultati di qualche ballottaggio e confortato dall’ultimo risultato poco esaltante di Forza Italia, si convinca che rinunciare al doppio turno non sarebbe così male, che i partiti piccoli verrebbero comunque penalizzati e che i Dem saprebbero schierare candidati noti, forti e presentabili, immuni dal rischio di preferenze negative che farebbero male a tutto il Pd. A quel punto, allora, la proposta stellata potrebbe andare anche bene: verrebbe ovviamente suggerita qualche modifica, per non far sembrare il dialogo una resa, ma la musica a quel punto sarebbe già cambiata e di parecchio.
I margini per l’asse Pd-M5S ci sarebbero in Parlamento? Alla Camera i numeri sono chiari: il Pd può contare su 293 deputati, il M5S su 104 (mentre Forza Italia ne ha solo 68) e, con quasi 400 voti su 630, la maggioranza è ampiamente assicurata. Al Senato la situazione, figlia dell’ultima applicazione del Porcellum (ma non solo) è un po’ diversa, visto che Forza Italia, anche dopo la scissione del Nuovo centrodestra, ha 59 seggi, più dei 40 conquistati dal MoVimento: questi ultimi, sommati ai 108 targati Pd, si avvicinano alla maggioranza assoluta a Palazzo Madama (che è di 161), ma faticano a sfiorarla, mentre il tandem Pd-Forza Italia superava l’asticella, anche se di poco.
Ovviamente questi sono numeri “a bocce ferme”, tutto sommato poco realistici: in casa democratica non è affatto scontato che il gruppo voti compatto un’eventuale proposta Pd-M5S, specie al Senato (il “caso Mineo” e le autosospensioni che ne sono seguite sono solo gli ultimi fatti che suggeriscono prudenza). Proprio nella “camera alta”, però, c’è qualche variabile di segno opposto, soprattutto guardando al mare magnum del gruppo misto, che da solo rappresenta il 7,5% dell’assemblea.
In particolare, su 24 senatori che ne fanno parte, 14 sono fuoriusciti dai banchi stellati e non è affatto escluso che su un testo basato sulla proposta discussa in rete arrivi anche l’appoggio di una parte di loro (le dichiarazioni di Luis Orellana inducono a pensarlo, anche se qualcuno potrebbe ovviamente non starci). Un sistema proporzionale senza sbarramenti, poi, non dovrebbe dispiacere nemmeno ad altre forze politiche (soprattutto nell’ambito del centrosinistra, aprendo la strada dei patti federativi), potendo dunque arrivare altri voti sul piatto.
Gli spazi per cambiare seriamente verso, a questo punto, ci sarebbero (anche se con numeri non amplissimi): Berlusconi sarebbe per la prima volta all’angolo e per molti sarebbe più difficile accusare il MoVimento 5 Stelle di essere contrario “a prescindere”. Ammesso naturalmente che in streaming, invece che un dialogo-incontro, non vada in onda una sfida all’Ok Corral.