La tregua in Siria ed il precario equilibrio di Astana
Mentre il dibattito politico occidentale è assorbito dalla roboante risonanza di quello che sta avvenendo in queste ore al di là dell’Oceano Atlantico, le istanze di normalizzazione e pacificazione del Medio Oriente, nonché dell’ancora rovente proscenio della Siria, procedono a singhiozzo.
Tregua in Siria: la pax d’Oriente e gli incontri di Astana
Astana, la capitale del Kazakistan, avrebbe dovuto ospitare, lo scorso 23 gennaio, la prima sessione dei dialoghi di pace tra le fazioni oggi in conflitto promossi dalle tre potenze che maggiormente hanno influito, specie in tempi recenti, sulle sorti della guerra: Russia, Turchia e Iran.
In dicembre, i promotori dei colloqui diplomatici avevano accettato l’invito del presidente kazaco Nursultan Nazarbayev per la costituzione di un tavolo di confronto concernente gli equilibri bellici in Siria, tuttavia, a causa della difficile trattativa interna al policromatico fronte d’opposizione al regime di Assad, i lavori sono più volte slittati.
La prossima data buona per la ripresa dovrebbe essere quella dell’otto di febbraio, presso Ginevra, in connubio con la supervisione dei delegati Onu. Ciò nonostante, gli ultimi comunicati pubblicati in merito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, paventano un ulteriore rinvio del processo.
Il precario equilibrio della pax siriana è attualmente sorretto da un flebile accordo tra le parti, che propugna un cessate il fuoco generale, in vigore dal 30 dicembre 2016.
Il manifesto d’intenti d’Astana dovrebbe, nelle ottiche dei principali attori convenuti, rafforzare tale compromesso al fine di garantire una fascia di sicurezza per le popolazioni civili, e per il loro sostentamento, nelle aree più colpite della Siria, Aleppo anzitutto.
Le dilaniate autorità di potere, all’interno di un Paese che si trascina cadente e gemente nelle voragini oscure di una battaglia al suo sesto anno di svolgimento, risentono di un preoccupante horror vacui istituzionale.
La tregua Siria ed il grande conflitto di interessi
Nessuna delle coalizioni in campo sembra, al momento, riuscire appieno nel controllo strategico, eppure tutte sono alla ricerca di qualcosa che dai prossimi colloqui internazionali di Astana potrebbe assumere i contorni di un rinnovato affresco geopolitico del Medio Oriente contemporaneo.
La Russia, forte della rinnovata volontà militare e del graduale ritiro degli Stati Uniti dallo scacchiere internazionale, la nuova linea politica di Donald Trump non sembra voler eccedere con il protagonismo negli affari esteri, ha assunto una funzione centrale che consente ad Assad di poter ragionare con il coltello dalla parte del manico.
L’Iran, dal canto suo, potrebbe approfittare della conferma, in quel di Damasco, di un reiterato regime di matrice alawita, dunque sciita, a detrimento dell’avanzata delle forze riconducibili al pensiero sunnita radicale, Isis su tutte.
La Turchia, tornata all’ovile sotto la protettiva ala di Mosca a seguito delle plurime frizioni di qualche tempo fa, accoglierebbe certamente di buon grado il contenimento dei curdi siriani e la conseguente formazione di un Kurdistan indipendente ai confini sud della regione anatolica. Del resto, la missione dell’esercito di Ankara, denominata Scudo dell’Eufrate, propugna una acerrima opposizione a tali etnie.
In questo abnorme conflitto d’interessi, resta da comprendere quali saranno le future doverose convergenze che Astana potrà far raggiungere ai principali contendenti, in favore della Siria.
Il fronte di sicurezza dell’esercito regolare di Damasco continua a bombardare alcune aree nei pressi del fiume Barada, affermando che i gruppi di ribelli attivi nella zona non sarebbero coperti dal cessate il fuoco. Il ministero della Difesa russo ha pubblicato una lista delle falangi ribelli che hanno aderito ai negoziati e sottoscritto la tregua: sono sette.
Riccardo Piazza