Omicidio Vasto e Caso Raggi: due esempi di linciaggio all’italiana
Nello spazio di due giorni gli italiani hanno avuto una doppia possibilità di esercitarsi in quello che resta tra gli sport preferiti dell’umanità e in particolare del Belpaese: il linciaggio in tutte le sue forme.
A Vasto il marito di Roberta Di Lello ha ucciso a sangue freddo il giovane che sette mesi fa aveva provocato la morte di lei in un incidente stradale. L’immediata reazione di una fetta purtroppo non marginale di italiani è stata: “Se l’era cercata”. Altri hanno invece sentito l’impellente desiderio di inaugurare pagine di Facebook per esaltare il folle gesto di un marito disperato. Questa passione per il far west e la giustizia fai-da-te, che spinge molti a giustificare e addirittura celebrare questi comportamenti, è uno dei segni della nostra naturale tendenza al linciaggio.
Omicidio Vasto e Caso Raggi: due esempi di linciaggio all’italiana
La nostra Repubblica dopotutto è sorta dall’antifascismo segnato dalle rappresaglie e dalle stragi di innocenti, ma porta sulle spalle anche Piazzale Loreto, le vendette e le pubbliche umiliazioni successive. Anche la nostra storia repubblicana è piena di linciaggi mediatici, ma negli ultimi anni il fenomeno “social” ha fatto letteralmente esplodere questa tendenza senza più vincoli o barriere e diventa ogni giorno più inquietante.
Un altro esempio recentissimo è il caso di #Virginia Raggi, per la quale oggi fioccano richieste di dimissioni nonostante per il momento non sussista un singolo elemento che a norma di legge la obblighi a dimettersi. Certo, il quadro che emerge dalle ricostruzioni stampa è tutt’altro che roseo ma il punto è precisamente questo: si tratta di ricostruzioni fatte dalla stampa che vengono commentate da un numero notevole di italiani su internet.
Perché nessuno si chiede invece come sia stato possibile che il contenuto di un interrogatorio sia finito in prima pagina su Espresso e Fatto Quotidiano mentre era ancora in corso? Tanto vale fare gli interrogatori direttamente in piazza con le telecamere. Scandalo e biasimo sono il nettare e l’ambrosia degli italiani, alimentano un rapporto perverso e drogato con la stampa, che ha spesso vita facile nel pescare tra le peculiarità della nostra assurda classe politica nuove nefandezze da dare in pasto al proprio pubblico.
Il problema è che oggi anche la stampa più quotata, sempre più in crisi, preferisce inseguire il lettore piuttosto che convincerlo ed è spesso disposta a mandare al diavolo diritti e deontologia pur di garantirsi qualche migliaio di click in più. Altri esempi altrettanto recenti sono stati Ignazio Marino e Vasco Errani, in particolare il primo, letteralmente massacrati dalla stampa e dagli utenti dei social network e poi riabilitati. Credevamo che senza finanziamenti pubblici la stampa sarebbe stata più libera dai condizionamenti e invece, da serva del lettore-padrone, è diventata schiava dei suoi cambi d’umore e della tendenza al linciaggio. Decisamente non un passo avanti.
È sicuramente curioso che oggi a subirlo sia un’esponente del movimento che più di tutti ha contribuito a rendere di nuovo protagonista questa inclinazione forcaiola degli italiani. Dopo anni a dichiarare che la presunzione d’innocenza non deve valere per i politici (cit. Di Maio), a chiedere dimissioni a chiunque al primo cenno di un magistrato e a creare gogne virtuali per i giornalisti “nemici”, sorprendersi che lo stesso trattamento colpisca anche Virginia Raggi è abbastanza ridicolo.
Ma è evidente che si stia perdendo il punto di equilibrio tra il rispetto delle procedure penali e tutela dei diritti di riservatezza da una parte e l’interesse pubblico e il dovere di trasparenza dall’altra, travolto dalla pretesa di una giustizia immediata e quindi sommaria. Ogni giorno il nostro sistema garantista viene massacrato dal prevalere di questa tendenza e dal fiorire di codici etici che si sostituiscono alle leggi vigenti: cosa resterà di questo passo, dello stato di diritto?