Ecco quanto guadagna un giornalista in Italia
Una netta maggioranza di liberi professionisti. I quali, però, sono spesso i meno pagati. Questo è il quadro che emerge dal rapporto condotto da LSDI sulla professione del giornalista in Italia.
L’ultimo aggiornamento dello studio, presentato dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI), comprende i dati a tutto il 2015. Il materiale raccolto da LSDI (che sta per Libertà di Stampa, Diritto all’Informazione, gruppo di lavoro composto da esponenti del mondo dell’informazione) si basa sull’analisi dei dati forniti dalla stessa FNSI, nonché dall’INPGI (l’ente previdenziale del settore) e dall’Ordine dei Giornalisti (OdG).
Autonomo o dipendente: il profilo del giornalista italiano
Secondo il rapporto, i giornalisti “attivi” iscritti all’INPGI sono circa 50 mila. Di questi, quasi 2/3 sono lavoratori autonomi, una percentuale cresciuta notevolmente dal 2009 ad oggi. E che si discosta nettamente dalla media dell’occupazione complessiva nazionale, che nel 2015 presentava addirittura il 75% di lavoratori dipendenti ed appena 1/4 di autonomi.
Ma il numero effettivo di giornalisti sarebbe decisamente superiore. Secondo la LSDI, ci sarebbero altri 54 mila lavoratori del settore iscritti all’OdG ma sconosciuti all’INPGI.
Quanto guadagna un giornalista in Italia
Ma quali sono gli stipendi dei giornalisti in Italia? Nonostante siano decisamente in meno rispetto ai colleghi liberi professionisti, i giornalisti dipendenti hanno redditi nettamente più alti. Un lavoratore dipendente del settore guadagna in media 60 mila euro lordi annui, oltre 5 volte in più di un giornalista freelance. Per quest’ultimo la media è infatti di poco più di 11 mila euro lordi annui (-1.8% rispetto al 2014), con più di 8 liberi professionisti del settore su 10 che dichiarano addirittura redditi inferiori ai 10 mila euro.
Tuttavia, nonostante condizioni economiche mediamente di gran lunga migliori di quelle dei colleghi freelance, il rapporto evidenzia un affanno anche del giornalista dipendente. Le posizioni lavorative “attive” sono infatti nuovamente in calo (-2.8%), sebbene l’arretramento sia inferiore rispetto a quello registrato nel biennio precedente. Inoltre, diminuisce anche il rapporto tra iscritti attivi e pensionati INPGI, che scende a 2.02, mentre per ogni euro ricavato in contributi ne vengono spesi 1.4 in pensioni. Aumentano anche le spese per cassa integrazione straordinaria e contributi di solidarietà, ulteriori segnali di un settore interessato da un momento di forte precarietà.
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