Dimissioni Matteo Renzi: l’ex premier si dimetterà anche da segretario del Pd?
#famostocongresso. A lanciare l’hashtag non è la minoranza Pd, ma i dem renziani. Svolta nella maggioranza del partito, che chiede l’anticipazione del Congresso. Di anticipare il Congresso democratico se ne parla da dicembre, quando alla vittoria del “no” al referendum sulla riforma costituzionale sono conseguite le dimissioni di #Matteo Renzi da Presidente del Consiglio.
Ma, fino ai giorni scorsi, era la minoranza del #Partito democratico a chiedere il Congresso anticipato. Oggi sembra che sia tutto il Pd a volerlo, anche se, lo vedremo di seguito, ci sono discrepanze sul “quando anticiparlo”, ovvero se prima o dopo le amministrative di primavera.
Dimissioni Matteo Renzi: l’ex premier si dimetterà anche da segretario del Pd?
La via al Congresso anticipato, comunque, non è così scontata. Le regole per la sua convocazione sono iscritte nello Statuto del Partito democratico, così come approvato nel 2009 e modificato, in alcune sue parti, nel 2015. In base all’art. 5 del regolamento in questione, il Congresso, oltre alle primarie dem, si svolge ogni quattro anni. Ciò significa che il prossimo dovrebbe tenersi nell’autunno del 2017, visto che il precedente ha avuto luogo l’8 dicembre 2013. Al comma 2, l’articolo 5 dello Statuto stabilisce che “il Presidente dell’Assemblea nazionale (in questo momento #Matteo Orfini) indice l’elezione dell’Assemblea e del segretario nazionale sei mesi prima della scadenza del mandato del Segretario in carica”, dunque, teoricamente, non prima del prossimo 8 giugno.
Tuttavia, sono previsti due casi in cui il Congresso e le primarie possono essere anticipate. Il primo è rappresentato dalle dimissioni del segretario (art. 3, c. 2 dello Statuto), cosa avvenuta per i primi due segretari eletti tramite le primarie, Walter Veltroni e Pierluigi Bersani. Il secondo caso è rappresentato dalla “sfiducia” da parte dell’Assemblea nazionale al segretario (art. 4, c. 7 dello Statuto). Per sfiduciarlo è necessaria, prima di tutto, la convocazione dell’Assemblea, il che richiede la presentazione delle firme di un quinto dei componenti della stessa (200, visto che l’Assemblea Pd è composta da 1000 membri). Una volta convocato, il “parlamentino” democratico deve approvare una mozione motivata con la maggioranza assoluta dei suoi membri (501).
Dimissioni Matteo Renzi: la direzione di oggi
Di queste possibilità si parla oggi, durante la riunione di direzione del Partito democratico convocata da Renzi. L’anticipazione del Congresso, in ogni caso, non sembra essere percepita come variabile indipendente. E questo vale sia per Renzi, sia per tutto il Partito democratico, minoranza inclusa: “Io, Franceschini, Orlando, Renzi, dobbiamo dire quando vogliamo andare a votare. Da quel momento metti in fila tutto: il governo, la legge elettorale, la manovra, il congresso, tutto. Altrimenti non si esce da questo circuito politico-mediatico e si incasina tutto”, dichiara #Pierluigi Bersani.
Il Congresso, dunque, appare dipendente dalla calendarizzazione delle elezioni politiche, la cui possibile anticipazione è oggetto di diatriba all’interno del Pd e non solo. Se si votasse in primavera, il Congresso del Pd dovrebbe essere anticipato, vista la necessità pre elettorale di dare una linea unitaria al partito. Inoltre, l’anticipazione del Congresso potrebbe alleviare il desiderio scissionista di dalemiani e bersaniani. Infine, da un punto di vista Renzi&co, un Congresso anticipato ridurrebbe la possibilità per le diverse anime del partito, quelle ancora non organizzate come l’area di Franceschini e i “giovani turchi”, di individuare candidature alternative all’ex premier.
Non la pensa così Matteo Orfini, che nei giorni scorsi ha ribadito l’idea di andare subito al voto senza passare dal Congresso: “Se facciamo in tempo si fa il Congresso. Se dobbiamo accelerare perché c’è una precipitazione elettorale, si possono fare le primarie. Il Congresso si fa se non ci sono le elezioni anticipate”. Ma adesso la situazione è mutata: ieri, il senatore Stefano Esposito, rispondendo alla collega Alessia Morani che chiedeva a Renzi il perché di non fare il Congresso, ha lanciato l’hashtag #famostocongresso. E l’appello è stato accolto da molti altri renziani.
Dimissioni Matteo Renzi: le possibili conseguenze di un Congresso in autunno
Per tornare alla variabile indipendente, ovvero le elezioni politiche, se si aspettasse la fine naturale della legislatura (2018), allora il Congresso potrà svolgersi anche in autunno. A quel punto, però, le amministrative e le regionali siciliane si sarebbero già svolte (primavera 2017) e Renzi, in caso di risultati negativi per il Pd, potrebbe uscirne maggiormente indebolito. “La verità è che l’unica cosa che vogliono è arrivare al 2018 logorando il segretario”, commentano i renziani.
“Teoria” supportata anche dalle parole di #Roberto Speranza: “Niente Congresso, prima le amministrative, altrimenti il tutto si trasformerebbe in una gazebata”. A questo c’è da aggiungere anche che, mercoledì scorso, quaranta senatori democratici provenienti da tutte le anime del partito hanno firmato un documento che, sostanzialmente, chiede di portare a termine la legislatura. “Serve un tempo ragionevole per l’elaborazione di una prospettiva, degli obiettivi. Affrontare le emergenze e risolverle nell’interesse dei cittadini è compito del governo” scrivono.
Ad oggi la maggioranza dei membri democratici sembrerebbe essere d’accordo sia con l’anticipazione del Congresso, anche se rimangono dubbi sulla sua calendarizzazione, pre o post amministrative, sia, soprattutto, con l’aspettare la fine naturale della legislatura.
E Renzi? “Non voglio nessuna scissione – ha detto durante la Direzione Pd – se deve essere sia una scissione sulle idee, senza alibi, e non sul calendario. Voi amici e compagni della minoranza non sarete mai il mio avversario. Gli avversari sono fuori da questa stanza. Ma dico sì al congresso prima del voto”. Poco dopo Pier Luigi Bersani replica serafico. “Scissione? Vedremo”.