Due Stati, Israele: tutte le ics di una equazione difficile
Fin dalla stabilizzazione effimera dei confini avvenuta nel 1967, Israele è sempre stata una nazione funzionale alla politica americana. Oggi il lento processo di pace risente delle insondabili distopie del presidente Donald Trump nonché dei precari equilibri imposti dallo sconvolgimento del Vicino Oriente, mai così frastagliato e fuori controllo dai tempi dei trattati di Sykes-Picot. L’incontro avvenuto alla Casa Bianca tra il Tycoon ed il premier israeliano Benjamin Netanyahu, non ha fatto altro che confermare tale matrice geopolitica surrealista.
Usa, Israele e Palestina: uno schema fuori dagli schemi
La difficile intesa tra Gerusalemme e Ramallah ha attraversato le forche caudine delle diverse guerre di liberazione (Intifada) all’ombra della grande ala protettiva delle forze a stelle e strisce. Potenze che, con il succedersi delle diverse amministrazioni repubblicane o democratiche, hanno ad ogni modo mantenuto una linea coerente a favore di Israele, non scalfendo l’antica alleanza strategica fondata sulle storiche sovvenzioni economiche annuali sancite negli accordi di Camp David del 1978.
Il conflitto israelo-palestinese osservato con le lenti della storia contemporanea ha perduto ogni premessa di merito. I tradizionali schieramenti sembrano venir meno giorno dopo giorno, l’improvvida politica estera esercitata dalla nuova presidenza americana sta implementando un flipper di soluzioni e ipotesi impazzite che registrano uno scacchiere confuso, colmo di Cigni neri. La Nato e il Consiglio di sicurezza dell’Onu, dal canto loro, hanno sgretolato le pallide certezze concernenti Israele sotto l’erosione di quasi un secolo di false soluzioni, gestione territoriale diplomatica dubbia, vacua e inefficace.
Israele: se i due Stati non rappresentano più una priorità
“Guardo ai due Stati, guardo ad uno Stato. Mi piace quello che piace a entrambe le parti. Posso vivere con entrambe le soluzioni”. Le incognite dell’equazione di Israele passano attraverso queste affermazioni del presidente degli Stati Uniti Trump. Gli Usa sembrano aver perduto le fattezze compiacenti e solidali, basi strategiche dei legami con il Paese affacciato sul Mar Mediterraneo, e, se si eccettua per alcune linee direttive tutte da verificare (lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme ed il ribadito supporto alle politiche di deterrenza militare nei confronti dello sviluppo nucleare iraniano), Washington ha in questi giorni dimostrato un atteggiamento persino recalcitrante.
Israele e Cisgiordania: la questione degli insediamenti
Con 60 voti contro 52 è stata ratificata, presso la Knesset, una legge, fortemente voluta dalle maggioritarie forze di destra quanto avversata dallo stesso Netanyahu, che garantisce la regolarizzazione degli insediamenti coloniali in Cisgiordania. Il decreto prevede la creazione di una enclave ebraica in territorio palestinese a fronte di alcuni emolumenti annuali per il controllo delle zone geografiche. Gli Usa hanno criticato tale nuova azione unilaterale e l’Unione europea ha immediatamente cancellato alcuni bilaterali in programma con Israele. La giurisdizione della normativa si applica alla delicatissima Area C del West Bank, porzione di terra su cui Israele, secondo i capitolati di Oslo, detiene il pieno controllo .
Ciò nonostante, tale ordinamento è già stato tacciato di incostituzionalità perché in contrasto con la Quarta Convenzione di Ginevra, con le disposizioni internazionali sulle occupazioni territoriali e con il diritto di proprietà dei cittadini palestinesi che, di prassi, non esprimono il loro voto per la Knesset.
Riccardo Piazza