Movimento sovranista: opportunità o ennesima occasione persa?
Sebbene i dissapori all’interno del Partito Democratico occupino gli spazi principali del dibattito, un altro episodio ha suscitato particolare interesse fra opinionisti, analisti e vari addetti ai lavori: lo scorso sabato, a Roma, è stata presentata l’istanza costitutiva del “Movimento Nazionale per la Sovranità”, dalle vive voci di Gianni Alemanno e di Francesco Storace, che tramite la fusione dei rispettivi simboli de “Azione Nazionale” e “La Destra”, hanno dato vita ad una singola realtà partitica, la cui ragione sarà calamitare consensi dei cultori di quella tanto chiacchierata Destra Sociale, la cui dipartita venne registrata con il decesso di Giorgio Almirante sul finire degli anni ’80.
Movimento sovranista: opportunità o ennesima occasione persa?
L’idea di partenza del neo sodalizio Alemanno-Storace poggia su tematiche abbastanza in voga fra il comune sentire della base popolare: ripristino della sovranità assoluta – che riguardi autonomia politica, economia e monetaria -, tutela dell’identità e delle tradizioni, priorità ai territori e alle comunità locali. Sui criteri fondativi, dunque, qualsiasi obiezione sarebbe forzata, data la grande notorietà della corsa all’autodeterminazione, divenuta propria di buona parte dell’offerta politica nostrana nelle recenti annate. Utile, invece, sarebbe chiedersi che tipo di vantaggi possa apportare un’ulteriore segmentazione ad un polo che sta diventando vittima di una frammentazione sempre più preoccupante, in virtù di programmi e di intenti perfettamente complementari tra le diverse forze in gioco.
Da un punto di vista politico-rappresentativo, la necessità di un fronte che si occupi di fornire una direzione altra dalla possibilità di una compagine formata da Fratelli d’Italia e Lega Nord, diviene indispensabile proprio perché venga scongiurata l’ambiguità di un’alleanza i cui protagonisti siano appunto Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
Per quanto le loro visioni coincidano e i rispettivi apparati stiano attraversando una fase di notevole maturazione – grazie al consistente successo che stanno riscontrando nelle periferie e negli entroterra, che rappresentano le zone socialmente ed economicamente più logorate dalla crisi -, le discrepanze fra il sentimento identitario della Meloni e il frastagliato passato secessionista di Salvini potrebbero risultare destabilizzanti per l’avvenire del Centrodestra. Non tenendo in considerazione, inoltre, la reciproca ambizione di consolidarsi come candidato di punta dello schieramento.
Sotto un profilo puramente pratico, però, la creazione della millesima entità partitica rischierebbe di destare sempre più scompenso politico-culturale nell’elettorato attivo, e non creerebbe un’effettiva alternativa, bensì un frastornato senso di disorientamento, dovuto alla sovrabbondanza della proposta di quell’area politica.
Sui singoli temi, tutti i gruppi liberal-conservatori sono perfettamente in sintonia: critica alla finanziarizzazione selvaggia della Moneta Unica, invito al ritorno di una valuta che sia stampata ed erogata da un ente bancario nazionale, e preservazione degli usi e costumi italiani, sono i fulcri dell’attività parlamentare e propagandistica delle ramificazioni più influenti del centrodestra.
Ergo, l’avanzata di una nuova fazione che segua le orme dei predecessori della coalizione in cui sarà annessa, assume i contorni di un esperimento da urna, piuttosto che avere le sembianze di un progetto politico destinato a durare. Nonostante si traducano in proficuo seguito, euro-scetticismo e nazionalizzazione non bastano per essere lungimiranti, soprattutto se svenduti e strumentalizzati.
Alex Angelo D’Addio